Podcast 2-18 – 3 novembre 2024 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario: chiediamo la grazia a Gesù di vivere i due comandamenti dell’amore
«Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo» (Cfr. Mc 12,33)
Nella prima lettura (Dt 6,2-6 – Ascolta, Israele: ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore) troviamo un brano dell’Antico Testamento tratto dal Libro del Deuteronimio ove si legge, tra l’altro, la preghiera che gli Ebrei fedeli recitavano tre volte al giorno, lo Shema Israel (“Ascolta, Israele”). È una sintesi della fede del Popolo eletto: la professione di un Dio unico (v. 4), il compendio di tutta la legge nel comandamento dell’amore (v. 5), infine il ricordo dell’alleanza (vv. 10-12).
Ma già nell’Antico Testamento amare Dio è integrato e strettamente correlato da un secondo comandamento: “Amerai il tuo prossimo come te stesso»” (Lv 19, 18) che, del primo, costituisce corollario essenziale dal momento che si era già compreso che non era possibile amare Dio senza interessarsi dell’uomo, fatto “a sua immagine”. L’amore verso Dio si prolunga necessariamente nell’amore verso il prossimo.
Anche nel Nuovo Testamento l’amore verso gli uomini e le donne appare inscindibile dall’amore verso Dio: i due comandamenti non sono, in realtà, che uno solo, vertice e chiave di volta di tutta la relazione tra l’uomo e Dio condensata ed ipostatizzata nella Legge. La carità fraterna diventa il contenuto e la realizzazione di ogni esigenza morale (Gal 5,14; Rm 13,8s; Col 3,14) ed è, in definitiva, l’unico comandamento (Gv 15,12; 2Gv5), la prassi di ogni fede che pretende di non essere morta (Gal 5, 6.22): “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede… Chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv 4,20s). Non si potrebbe affermare con più chiarezza che, in sostanza, non c’è che un unico amore che lega il Creatore alle sue creature predilette. Questo sentimento profondo supera tutte le barriere, le avversità, le inimicizie che spesso caratterizzano, invece, i rapporti tra gli uomini.
Lo vediamo anche nel passo evangelico di oggi (Mc 12,28-34 – Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo) in cui si presenta con simpatia e benevolenza un personaggio appartenete ad un gruppo sociale che Gesù, normalmente, non è solito trattare con particolare affetto, anzi: uno scriba.
Spesso, come sappiamo bene, il Maestro accusa gli scribi di interessarsi più alla forma che alla sostanza, più ai sofismi di parole che non al vero bene dei loro fratelli. Ma nulla di tutto ciò si trova in questo brano perché l’Evangelista desidera mettere in evidenza proprio il comportamento di Gesù nei confronti di un uomo che, pur appartenendo ad una tipologia sociale che gli è sostanzialmente ostile, viene ascoltato con benevolenza e, “Vedendo che aveva risposto saggiamente”, gli riconosce il suo amore e quello del Padre la dove afferma: «Non sei lontano dal regno di Dio».
Questo scriba, è un uomo che cerca di conoscere. È un uomo alla ricerca di Dio, un uomo che vuole sapere come poterlo raggiungere con sicurezza. Questo significa la sua domanda su quale sia il comandamento più importante. Gesù gli risponde in modo relativamente prevedibile, ma che va all’essenziale. Da tutta la Legge, ricava il solo comandamento che dà lo spirito alla Legge stessa. Questo comandamento è divenuto la preghiera essenziale e caratteristica del Popolo eletto (Dt 6,4-5) che bisogna avere sempre fisso nel proprio cuore. Gesù vi aggiunge la necessità di metterlo in pratica, mediante quell’amore per il prossimo che permette a ciascuno di verificare se ama davvero Dio (1Gv 4,20). Lo scriba allora, felice di essere confermato nella propria fede, loda Gesù: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità” e non sa che, in realtà, si complimenta con Dio stesso, felice di trovarsi in perfetto accordo con lui! E questo atteggiamento commuove anche Gesù che accoglie con gioia l’osservazione di quest’uomo che è un vero credente, senza falsità (Gv 1,47) e gli apre il regno.
Gesù risponde alle sue lodi con un’osservazione che ciascuno di noi vorrebbe sentirsi fare. Conferma lo scriba nella sua fede e, dandogli una garanzia come non ce ne sono altre, lo rassicura che non sta sbagliando.
L’amore del prossimo non è semplice filantropia, come dice sostanzialmente la parola stessa, ma esso è essenzialmente religioso nel senso che lega l’uomo non solo ad ogni altro uomo, ma a Dio stesso che lo ha creato a su immagine. È un amore teologico e religioso perché prende a modello l’amore di Dio che ama tutti senza distinzione (Mt 5,44; Ef 5,1; 1Gv 4,11s). e non potrebbe essere diversamente dal momento che la sorgente di questo amore è Dio stesso.
Come potremmo essere misericordiosi come il Padre celeste, se il Signore non ce lo insegnasse (1Ts 4,9) e se lo Spirito di Dio che è amore non inabitasse nei nostri cuori come numerosi brani del Nuovo Testamento affermano categoricamente?
Dunque non si tratta di due comandamenti, ma, in sostanza, di uno solo, il primo, dal quale non può essere ontologicamente separato il secondo che, dunque, ne è parte sostanziale.
La questione del legame tra amore di Dio e amore degli uomini è sempre al centro della vita Cristiana. Essa è tanto chiara e precisa nella sua formulazione teorica, quanto problematica e instabile nella sua traduzione pratica ed esistenziale. In ogni epoca della storia della comunità dei Christifideles, questa realtà sostanziale corre il rischio di essere parzialmente velata spostando l’ago della bilancia sull’uno o sull’altro di due estremi di un bipolarismo in realtà solo apparente: Dio-prossimo.
Anche quando siamo tesi a mettere in evidenza la necessità, l’esigenza, di dare corpo all’amore tra noi come fratelli, senza distinzioni e senza frontiere, non dobbiamo mai dimenticare che questa stessa esigenza, necessità, dovrebbe spingerci a considerare che il vero amore fraterno deve aver caratteristiche analoghe all’amore di Dio che lo ispira. Una eventuale discrepanza, una antinomia, ci inganna e ci potrebbe illudere, addirittura, sulle dimensioni integrali dell’amore fraterno stesso. Dove Dio non ha più il posto che gli compete, comincia a perdere d’importanza anche la relazione verso il prossimo.
Ecco, allora, che per un malinteso amore per l’uomo si possono proporre addirittura abominazioni di fronte a Dio: la fame, l’ingiustizia, l’oppressione si crede di risolverle con la violenza delle armi, la sovrappopolazione si vincerebbe con una pianificazione indiscriminata delle nascite o l’aborto legalizzato, la crisi della famiglia la si ripara col divorzio, la malattia inguaribile si sana con l’eutanasia,…
E Dio, in tutto questo “amore” per il prossimo, dove lo abbiamo lasciato? Dove lo abbiamo nascosto? Certo un vero amore verso il prossimo richiede un impegno concreto nel mondo per liberare l’uomo e la donna da ogni forma di schiavitù che, prima di tutto, occorre sottolinearlo, non umilia la creatura umana, ma stravolge la sua immagine e somiglianza col Creatore! D’altra parte c’è sempre stata una intimistica spiritualità e una falsa mistica che ha esaltato indiscriminatamente e radicalmente un amore di Dio contrapposto a quello per l’uomo ed ha predicato la fuga dal mondo e il disprezzo delle cose create; ha parlato di una scelta ineluttabile tra Creatore e creature, finendo per lacerare il cuore del credente tra due amori proposti come antitetici ed irriducibili “ad unum”.
Noi Cristiani abbiamo, invece, il compito di manifestare agli uomini i segni autentici dell’amore che ha creato e salvato il mondo. Noi, infatti, siamo membra dell’unico corpo mistico di Cristo che proprio l’amore ha formato e come tali siamo la dimostrazione di questo amore che nasce da Dio, come dal cuore di questo corpo, e si diffonde in tutte le sue membra che, amandosi reciprocamente, si uniscono in un unico corpo in un’armonia che solo la pace tra loro può dare e rendere sicura.
E questo, si dirà, vale solo per noi Cristiani! E invece, no, perché l’uomo moderno, anche se non si definisce Cristiano, forse più di quelli che l’hanno preceduto, aspira ad una maggiore pace e giustizia, e a questo compito storico mobilita le sue energie. Volere la pace e la giustizia, però, significa riconoscere l’appartenenza ad un unico genere umano in cui ogni membro coopera per mantenere il proprio benessere e quello di tutti gli altri come fondamento della salute di tutto questo organismo. E la retta intenzione, se si traduce solo in belle parole non basta, bisogna fare delle scelte sul piano dell’azione individuale e collettiva! È su questo campo che si gioca l’avvenire non solo del genere umano ma, soprattutto, della Chiesa, la sua credibilità di fronte al mondo, specialmente ai giovani, la sua fedeltà al Vangelo, che si riassume, poi, nel comandamento dell’unico amore.
Come volere ed operare per la concordia e la pace in questo unico corpo? In questo arduo compito ci viene in aiuto la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Ecumenico Vaticano II al N. 78: “La pace non è semplicemente assenza di guerra, né si riduce solamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti e neppure nasce da un dominio dispotico, ma si definisce giustamente e propriamente «opera della giustizia» (Is 32,17). Essa è frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo fondatore. È un bene che deve essere attuato dagli uomini che anelano ad una giustizia sempre più perfetta. Il bene comune del genere umano è regolato nella sua sostanza dalla legge eterna, ma, con il passare del tempo, è soggetto, per quanto riguarda le sue esigenze concrete, a continui cambiamenti. Perciò la pace non è mai acquisita una volta per tutte, ma la si deve costruire continuamente. E siccome per di più la volontà umana è labile e, oltre tutto, ferita dal peccato, l’acquisto della pace richiede il costante dominio delle passioni di ciascuno e la vigilanza della legittima autorità. Tuttavia questo non basta ancora. Una pace così configurata non si può ottenere su questa terra se non viene assicurato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi in tutta libertà e fiducia le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. Per costruire la pace, poi sono assolutamente necessarie la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli, l’impegno di ritener sacra la loro dignità e, infine, la pratica continua della fratellanza. Così la pace sarà frutto anche dell’amore, che va al di là quanto la giustizia da sola può dare [per noi Cristiani, in particolare].
La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana da Dio Padre. Infatti lo stesso Figlio di Dio, fatto uomo, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha distrutto nella sua carne l’odio (cfr. Ef 2,16; Col 1,20.22). Nella gloria della sua risurrezione ha diffuso nei cuori degli uomini lo Spirito di amore. Perciò tutti i Cristiani sono fortemente chiamati a “vivere secondo la verità nella carità” (Ef 4,15) e a unirsi con gli uomini veramente amanti della pace per implorarla e tradurla in atto. Mossi dal medesimo Spirito, non possiamo non lodare coloro che, rinunziando ad atti di violenza nel rivendicare i loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono del resto alla portata anche dei più deboli, purché questo si possa fare senza ledere i diritti e i doveri degli altri o della comunità.
Foto di copertina: Dio è amore. Molto prima di gettare le fondamenta della terra, Dio pensò a noi e ci scelse come centro del Suo amore. “Ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Cfr. Ef 1,4). Prima che Dio creasse il mondo, pensava ad ognuno di noi. Le Sacre Scritture dicono che l’universo è stato creato semplicemente affinché Dio potesse creare gli esseri umani e amarci. Siamo noi al centro del Suo amore. Dio ci ha creato per amare.