Dopo i saluti del Direttore dell’Archivio di Stato di Caserta, Dott.ssa Fortunata Manzi, il Presidente del Centro Studi della Provincia di Caserta “Antica Terra di Lavoro”, Dott. Tommaso Tartaglione, promotore e realizzatore dell’evento, ha dialogato con tre storici di valore, che hanno raccontato la figura di S.M. Maria Sofia von Wittelsbach, ultima Regina delle Due Sicilia, e la storia dell’esercito che la sostenne nella strenua difesa del Regno tra il 1860 e il 1861:
- il grande affabulatore Prof. Aurelio Musi, ordinario di Storia moderna all’Università degli Studi di Salerno, autore del libro Maria Sofia. L’ultima Regina del Sud, che ha stimolato e incuriosito la platea col suo puntuale e partecipato ritratto di una donna straordinaria;
- il rigoroso Giovanni Pede e l’appassionato Luca Esposito, cultori di storia militare, autori del libro Dal Macerone a Gaeta. L’ultima difesa delle Due Sicilie, che hanno suscitato l’interesse dei cultori di storia degli eserciti e dei loro soldati.

È stato un prezioso pomeriggio di divulgazione, arricchito dall’interpretazione dell’attore Mario Di Fraia di alcuni brani poetici dedicati alla Regina Maria Sofia, e dal dono dell’artista marinese Vito Riccardi, disegnatore, incisore, illustratore digitale, che ha svelato la sua opera dedicata alla Regina Maria Sofia (foto sopra).
S.M. Maria Sofia Amalia von Wittelsbach
Regina delle Due Sicilie
Alta, slanciata, elegante nel portamento nobile e grazioso, con una magnifica capigliatura castana, bellissimi occhi di color azzurro-cupo, Maria Sofia trascorre l’infanzia e l’adolescenza nel castello di Possenhofen dei Duchi in Baviera, dove le giovani Wittelsbach si esercitano in lunghe galoppate a caccia di animali selvatici. Oltre alle passeggiate a cavallo, pratica la scherma, il nuoto, la ginnastica, la danza, riceve una solida educazione musicale e una formazione al gusto estetico secondo i modelli ereditati dalle corti europee d’antico regime. È molto affascinata dalla fotografia: una passione che le rimarrà tutta la vita. Come la sorella Elisabetta, Sissi, futura Imperatrice d’Austria, è solita girare da sola per la città e fumare piccoli sigari in pubblico. Non rispetta l’etichetta di corte e coltiva i rapporti umani, che intrattiene anche con persone umili. Fin da ragazza è esuberante, indipendente, anticonformista, nonostante i tentativi della madre Ludovica di frenarne gli eccessi.

«Femme hèroique qui, reine soldat, avait fait elle meme son coup de feu sur les remparts de Gaete» (Donna eroica che, da regina soldato, aveva sparato lei stesso il suo colpo di fuoco sui bastioni di Gaeta): così Marcel Proust nel suo La prisonnière, canta della regina soldato, la giovane Maria Sofia von Wittelsbach dei Duchi in Baviera, divenuta a solo 18 anni l’ultima Regina delle Due Sicilie, per poco più di un anno, l’eroina che dagli spalti della fortezza di Gaeta infonde coraggio a quel che rimane dell’esercito borbonico annientato dall’arrembaggio piemontese. Prestò assistenza alle truppe reali e curò i feriti, fece tutto ciò che era in suo potere per aiutare, sostenere e incoraggiare i soldati combattenti. Armata lei stessa di fucile, si recò sul bastione della fortezza di Gaeta durante l’assedio piemontese e non esitò a sostituire un artigliere ferito a morte, continuando il fuoco contro gli assedianti piemontesi. Il suo comportamento attirò attenzione e ammirazione in tutta Europa.

La Regina Maria Sofia è accompagnata dal Generale Felix von Schumacher e dal suo aiutante Alphons Pfyffer von Altishofen sui bastioni di Gaeta durante l’assedio. La sua sciarpa rossa e gli stivali con speroni, che indossava durante l’assedio, sono ora, insieme ad altri cimeli, in possesso della famiglia Schumacher a Lucerna.
Il Generale Felix von Schumacher (Lucerna, 14 luglio 1814-Lucerna, 19 ottobre 1894) apparteneva alla famiglia patrizia Schumacher di Lucerna. Fu aiutante di campo del Re delle Due Sicilie, S.M. Ferdinando II, consigliere dei suoi figli Francesco II e i Conti di Trani e di Caserta, protettore della giovane Regina Maria Sofia. Nel 1858 fu elevato al titolo di patrizio napoletano. Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilia nel 1861, accompagnò il Re e la Regina in esilio a Roma.





Il mito dell’eroina di Gaeta non è stato mai offuscato dal passare del tempo, anche se i testi di storia hanno ignorato o addirittura vituperato la figura, la personalità e il comportamento eroico dell’ultima Regina delle Due Sicilie. Gabriele D’Annunzio definì Maria Sofia “l’aquiletta bavara che rampogna”, intendendo con queste parole disprezzare la Regina che si oppose con tutto il suo coraggio all’usurpazione sabauda del Regno delle Due Sicilie. Maria Sofia, infatti, tentò di riconquistare sino all’ultimo giorno della sua vita quella Patria meridionale che lei, bavarese di nascita, aveva fatto sua e profondamente amata, insieme alla sua gente.
- S.M. Maria Sofia Amalia von Wittelsbach, ultima Regina delle Due Sicilie [QUI]
L’assedio e la caduta di Gaeta
L’assedio di Gaeta tra il 13 novembre 1860 ed il 13 febbraio 1861, di cui 75 giorni trascorsi sotto il fuoco piemontese, fu uno degli ultimi fatti d’armi delle operazioni di conquista dell’Italia meridionale nel corso del Risorgimento italiano. La Città di Gaeta, al confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, era difesa dai soldati dell’esercito delle Due Sicilie, ivi arroccati dopo la Spedizione dei Mille e l’intervento della Regia Armata Sarda. La caduta di Gaeta, insieme con la successiva presa di Messina e di Civitella del Tronto, portò alla proclamazione del Regno d’Italia.
Tra tutti gli assedi subiti da Gaeta nella sua millenaria storia di fortezza militare fin dall’846, questo fu il più ingente per i mezzi militari impegnati. Il numero ufficiale delle vittime di questo assedio: tra le file piemontesi 46 morti e 321 feriti, tra le file borboniche 826 morti, 569 feriti e 200 dispersi. Purtroppo non sono stati registrati ufficialmente i morti, feriti e dispersi tra la popolazione civile che pure patì l’assedio.
La storia della tragica resistenza della Fortezza di Gaeta, assediata dallo spietato Generale Enrico Cialdini, Comandante del corpo di assedio piemontese, è nota, ed esistono pubblicazioni valide che ne forniscono il racconto. L’assedio fu condotto con tale asprezza, che occorre ricordare che Cialdini ebbe l’ardire di far bombardare perfino la stanza dei sovrani, evidentemente nella speranza di ucciderli.

Dal 15 dicembre 1860 i bombardamenti su Gaeta si fecero più insistenti e cruenti, arrivando a colpire non solo obiettivi militari, ma anche obiettivi civili, come ospedali, chiese e case civili, allo scopo di abbattere il morale degli assediati e facilitare la caduta della città. Un racconto leggendario dell’epoca, diffuso inizialmente dal giornalista Carlo Garnier, narrava che dopo il 15 dicembre, con l’inasprirsi dei bombardamenti, la Regina Maria Sofia incominciò a vedersi continuamente sui bastioni della città, prodigandosi a soccorrere i feriti e a dare conforto ai soldati, venendo soprannominata “eroina di Gaeta”.
Ci limitiamo a riportare le commoventi parole di Roberto Martucci, che descrive il tragico clima in cui avvenne l’assedio, specie gli ultimi giorni, e soprattutto descrive lo stato d’animo di chi stava perdendo – tra la fame e la pestilenza – ma sapendo di essere vittima incolpevole di un’aggressione da nessuno desiderata ed eroico difensore non di un Regno, ma di una civiltà plurisecolare, e di chi stava vincendo fra le risa, ma era un riso di amaro sapore:
«Il 5 febbraio 1861, un proiettile centrò la polveriera Sant’Antonio, provocando circa cento morti e seppellendo, sotto le macerie, centinaia di soldati vivi. “Il nemico – scrisse Pietro Calà d’Ulloa – faceva un sacrificio di vittime umane agli dei degli inferi; un’ultima esplosione lanciò in aria per poi precipitarli in mare soldati e ufficiali; gli assedianti, a Mola, batterono le mani come a uno spettacolo”» [Pietro Cala d’Ulloa, Lettres d’un ministre émigré, Marseille, 1870, p. 80].
Dopo una breve tregua per estrarre i feriti dalle rovine, il Generale Cialdini rifiutò una proroga che avrebbe consentito di soccorrere le altre vittime ancora vive; il generale sardo volle quindi riprendere il bombardamento, offrendo al tempo stesso una resa senza condizioni alla stremata guarnigione napoletana. Di fronte alla inutilità di un’ulteriore resistenza, S.M. Francesco II autorizzò il Governatore di Gaeta – che era quello stesso Generale Giosué Ritucci che aveva diretto la sfortunata controffensiva sul Volturno – a trattare la Capitolazione. Era l’11 febbraio e per due giorni si protrassero i colloqui senza che il Generale Cialdini cessasse di rovesciare sulla sventurata fortezza una valanga di fuoco; ne aveva anzi approfittato per far entrare in azione altre due micidiali batterie di cannoni a canna rigata. Visto che la resa era sicura, quell’ulteriore dispiegamento di artiglieria d’assedio era mortalmente inutile. A meno che non ci si trovasse di fronte a quella sindrome magistralmente descritta dal romanziere francese Jules Verne in Dalla terra alla luna, quando gli affranti ingegneri e periti balistici, soci del “Gun club” di Baltimora, appresero con dolore ineguagliato che la fine della Guerra di Secessione impediva di sperimentare l’efficacia dei proiettili dei loro cannoni sulla carne confederata.

13 febbraio 1861
Così capitolarono
i valorosi difensori del Regno delle Due Sicilie
della Piazzaforte di Gaeta
«Gli assedianti hanno lanciato circa 60.000 bombe dal 10 [febbraio] sera fin a questo momento [13 febbraio]. 60.000 bombe in tre giorni, sessantamila bombe tra la domanda di capitolazione e la sua firma. Le vittime di queste 60.000 bombe grideranno vendetta eterna contro Cialdini (…) Ecco una Fortezza il cui assedio finirà senza che si sia aperta una trincea, senza che l’Assediante si sia avvicinato a meno di 1500 metri! (…) Cialdini fa colazione, pranzo e cena e dorme pacificamente a Castellone, nella Villa Real di Mola, a cinque chilometri da Gaeta. (…) Sulle tombe di tanti bravi, che hanno sofferto con una inalterabile fermezza e che sono morti con magnanima semplicità, sulle rovine di una città che si è difesa cento giorni con risorse così esigue, con mezzi insufficienti, io straniero, semplice testimone, ma non testimone insensibile, affermo che l’assedio di Gaeta sarà una delle più belle pagine della storia contemporanea. La gloria non sarà per i vincitori, ma per i vinti» [Charles Garnier, Diario dell’Assedio di Gaeta 1860-1861, Brussel 1861, trad, it. Editoriale il Giglio 2022].
«Venne finalmente stabilito in massima che da oggi in poi [11 febbraio] si raddoppierebbe il fuoco delle nostre artiglierie, né si cesserebbero fino a conchiusa capitolazione (…) al toccare della mezzanotte dalla batteria italiane erano partiti 4.397 colpi e da quelle dei borbonici 1.493 (…) i feriti nel campo italiano erano stati 4, ed in Gaeta 9 i morti e 7 i feriti. Dal tifo erano stati colti 48 e condotti in fin di vita 7» [Federico Carandini, Ufficiale dello Stato Maggiore piemontese, L’ Assedio di Gaeta nel 1860-61, Torino 1874].

Fu così che a Gaeta, alle tre del pomeriggio del 13 febbraio, mentre i parlamentari napoletani e sardi stavano discutendo gli ultimi dettagli della Capitolazione, saltò in aria la polveriera della batteria Transilvania con le sue diciotto tonnellate di esplosivi. Immediatamente, le batterie d’assedio piemontesi concentrarono il fuoco sulle macerie per impedire i soccorsi, mitragliando i barellieri. Morirono inutilmente due ufficiali, cinquanta soldati e l’intera famiglia del guardiano del bastione. L’ultimo era il più giovane di tutti, l’Alfiere Carlo Giordano, 17 anni non ancora compiuti, allievo della Nunziatella. I plenipotenziari borbonici, che stavano trattando la resa nel Quartier Generale di Cialdini, trattennero a stento le lacrime, mentre i loro ospiti applaudivano fragorosamente contravvenendo simultaneamente alle regole dell’ospitalità e alle leggi non scritte dell’onore militare.
Il 13 febbraio 1861, nella villa reale dei Borbone (già villa Caposele, attualmente Villa Rubino, a Formia) venne firmato l’armistizio. Alle ore 18.15 le artiglierie di entrambi gli schieramenti cessarono le ostilità, entrando in vigore il cessate il fuoco a seguito della firma della capitolazione, e dopo la resistenza per oltre tre mesi alle truppe piemontesi, i valorosi difensori del Regno delle Due Sicilie della guarnigione di Gaeta uscirono dalla Piazzaforte con l’onore delle armi.
Cialdini, non ancora soddisfatto, volle anche riuscire sarcastico per umiliare chi aveva avuto il coraggio di resistergli con dignità, e si offrì di fornire con generosità alla coppia sovrana una nave per andare a Roma: ne scelse una che fece ribattezzare “Garibaldi”.

Fra le lacrime dei soldati e degli ufficiali inginocchiati e della popolazione, mentre stringevano le mani a tutti, senza distinzione, fra le lacrime e i sorrisi, LL. MM. Francesco II e Maria Sofia salparono per Roma.
La cittadella di Messina si arrese a Garibaldi dopo due mesi, il 12 marzo e Civitella del Tronto – ultima roccaforte dell’esercito duosiciliano – riuscì a resistere all’esercito piemontese con 530 uomini appartenenti ai diversi corpi (gendarmeria, fanteria di riserva, reali veterani, artiglieria) con 21 cannoni, 2 obici, 2 mortai e 1 colubrina in bronzo del museo, fino al 20 marzo 1861. Dopo due giorni di terrificanti bombardamenti – 7.860 proiettili per 6.500 kg di polvere utilizzata – i Piemontesi riescono ad entrare attraverso una breccia. Finisce il Regno delle Due Sicilie.

Maria Sofia. L’ultima regina del Sud
(Neri Pozza 2022, 240 pagine [QUI])
di Aurelio Musi
La biografia storica di Maria Sofia va ben oltre il breve periodo del Regno. In collegamento con gli anarchici, alimenta la destabilizzazione del Regno d’Italia. Giura vendetta ai Savoia, che le hanno sottratto un regno e le sue ricchezze. Dopo i dieci anni di esilio a Roma, ospite di Papa Pio IX, l’ultima Sovrana del Regno delle Due Sicilie vive tra Austria, Ungheria, Francia, Germania. Muore a Monaco nel 1925. Nella sua lunga vita ispira scrittori e artisti. Chi ne fa un monumento, in cui lei si riconosce, è Marcel Proust nel suo La prisonnière. A lungo Luchino Visconti accarezza l’idea, poi sfumata, di realizzare un film sulla sua vita affidando a Greta Garbo la parte della protagonista.

Dal Macerone a Gaeta
L’ultima difesa delle Due Sicilie
Un racconto dalla parte dei vinti,
con cenni biografici sui soldati del Re
di tutti i corpi e gradi
(Cosmo Iannone Editore 2024,
212 pagine [QUI])
di Giovanni Pede e Luca Esposito
L’esercito del Regno delle Due Sicilie era davvero un esercito di stranieri e di mercenari, di uomini sanguinari e feroci contro i loro stessi fratelli? O, peggio ancora, di ufficiali traditori, pronti a passare dalla parte del vincitore? In realtà, era un esercito nazionale la cui principale ragion d’essere era il mantenimento dell’ordine interno, ma che fece la sua parte quando il Re se ne mise a capo, dopo le dimissioni del governo costituzionale napoletano. La ricerca degli autori si propone di approfondire questi aspetti di storia militare ricordando tanti fedeli “soldati del Re” e focalizzandosi sul periodo che va dal risolutivo intervento armato sardo-piemontese del 12 ottobre 1860 alla metà del mese successivo. L’irresolutezza dell’alto comando napoletano, cui non fu estraneo lo stesso Re nell’ingannevole speranza in un aiuto francese, rimandò lo scontro definitivo con l’Armata Sarda fino a che fu troppo tardi e tutto compromesso in una settimana o poco più. La ritirata si concluse solo a Gaeta, una fortezza che, a causa del mortale immobilismo degli ultimi anni di regno di Ferdinando II, non era in grado di resistere a un assedio sostenuto da cannoni a grande gittata, di fronte ai quali gli artiglieri napoletani nulla poterono. Un lavoro, questo di Pede ed Esposito, che si colloca oltre le polemiche di parte e aiuta a ricostruire il dato storico in modo obiettivo e documentato.
L’artista Vito Riccardi
Vito Riccardi, artista marinese classe 1965, esprime la sua arte attraverso la creazione e la sperimentazione in ambito digitale. Le sue opere sono principalmente ritratti, in particolar modo ritratti femminili. Le donne che Riccardi racconta tramite la tavola grafica, sono per lui la massima espressione del bello in senso assoluto. I suoi ritratti hanno uno stile molto pop, caratterizzato da effetti e colori sgargianti, ma ciò che ancor di più resta impresso come tratto distintivo in chi guarda, sono gli occhi chiusi di queste figure in primo piano. A tal proposito, l’artista stesso ha affermato che «gli occhi chiusi rendono le mie donne più affascinanti, credo, perché richiamano una dimensione onirica. Non è come per Modigliani, che disegnava le donne senza pupille rendendole fredde e distanti, come statue. Io e le mie donne sogniamo gli stessi sogni».

L’opera di Vito Riccardi, un’originale istallazione pop art presso il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio in Caserta l’anno scorso, dedicata alla Regina Maria Cristina di Savoia, prima moglie di S.M. Ferdinando II di Borbone, che tanta cura spese per il rilancio della colonia serica, realizzata su materiali plastici, fa parte di una serie di opere raffiguranti donne che hanno fatto la nostra storia, la serie delle “illuminate”. Quest’opera raffigura una donna illuminata, in plexiglas, con impianto led; vuole essere un’ispirazione per tutte le donne che cercano la loro realizzazione liberamente, proprio come la leggendaria figura della reginella santa. Nella corona, il cuore è colorato in viola, notoriamente il colore della spiritualità che si riflette nelle labbra, dalle quali proferivano le preghiere. Il rosso ed il blu sono omaggi ai colori della Città di Caserta.

L’Archivio di Stato di Caserta
L’Archivio di Stato di Caserta ha sede in alcuni dei locali del magnifico complesso vanvitelliano della Reggia di Caserta, con ingresso da piazza Carlo di Borbone. Il maestoso Palazzo Reale fu costruito per volontà di Re Carlo di Borbone a partire dal 1752, anno di posa della prima pietra. Il Re, per il nuovo Regno conquistato nel 1734 e svincolato dalla Corona di Spagna, scelse di erigere il nuovo edificio, destinato a competere con le grandi residenze delle corti europee, nella pianura di Terra di Lavoro, non lontano da Napoli. Il progetto fu affidato all’Architetto Luigi Vanvitelli, figlio del pittore vedutista neerlandese Gaspar Adrianszoon van Wittel, italianizzato Vanvivelli (Amersfoort 1653-Roma 1736). La costruzione si protrasse per quasi un secolo e terminò solo nel 1845. La Reggia ha una pianta rettangolare articolata in quattro cortili interni. Si estende per circa 47.000 metri quadrati. Meraviglioso il Parco Reale, progettato sempre dal Vanvitelli, i cui lavori cominciarono nel 1753, arricchito da splendide fontane, bacini d’acqua e cascate, alimentate dall’acqua proveniente dal monte Taburno, convogliata dall’acquedotto carolino, appositamente costruito. La Reggia di Caserta e il Parco Reale sono stati dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997.
Il Centro Studi della Provincia di Caserta
“Antica Terra di Lavoro”
La denominazione con cui si è costituito il Centro Studi della Provincia di Caserta “Antica Terra di Lavoro” APS è quello della provincia di Caserta di cui i soci vogliono approfondire la storia e divulgarla soprattutto alle giovani generazioni. Ma rimanda anche all’antica Terra di Lavoro del Regno delle Due Sicilie, di cui l’attuale provincia è la naturale erede.
I soci fondatori provengono da tutta la provincia: partendo dai piccoli centri dell’Alto Casertano come Alife, Alvignano, Dragoni, Roccaromana; alla “città dello storico incontro” Teano, ai centri più importanti come Caserta, Marcianise e Maddaloni, passando per Macerata Campania, Casagiove e San Nicola la Strada.