Podcast 2-25B – Commento biblico-liturgico sui Vangeli del Tempo di Avvento
Sappiamo come la Parola di Dio parli sempre all’interno di un contesto preciso, che non è dato semplicemente dalla struttura del testo biblico, ma dal contesto particolare entro cui la leggiamo noi oggi. Calare la Parola nel contesto singolare della liturgia eucaristica, significa leggerla nel riferimento incrociato: al tempo dell’anno liturgico (il tempo di Avvento); al lezionario, che intreccia la Parola con le altre letture bibliche in un disegno coerente; alle preghiere, ai testi e ai gesti liturgici della celebrazione eucaristica del giorno; al tempo esistenziale della comunità, della persona, del mondo dentro cui scende la Parola. Approfondiamo brevemente alcuni aspetti.
a) la Parola nel mistero eucaristico è celebrata e non semplicemente letta; è viva, efficace, ci raggiunge e si realizza qui e ora: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi!” (Lc 4,21). Commentarla è dunque un invito a entrare nel Mistero dell’Eucaristia, dove essa si realizza nel Mistero pasquale donato a noi nella ricchezza dei simboli sacramentali. L’eucaristia domenicale è Mistero della fede, che realizza l’attesa dell’Avvento, nell’attesa del compimento ultimo! La stessa struttura della liturgia della Parola ci parla di un unico libro santo, che è Cristo stesso: “Tutta la Scrittura costituisce un unico libro, e quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento” (Ugo di san Vittore).
b) la Parola nel tempo liturgico dell’Avvento illumina la doppia caratteristica di quest’ultimo: memoria della venuta storica nella carne e attesa della venuta escatologica nella gloria. Questa doppia caratteristica è ben visibile già nei primi lezionari, che proponevano per la prima domenica d’Avvento Mt 21, 1 – 9: Gesù che entra nell’umiltà e nella gloria, come servitore e re, uomo e Dio, nel collegamento tra l’Incarnazione e la Redenzione dato dall’ingresso in Gerusalemme e Gv 6,5-14: qui è il duplice annunzio del banchetto messianico della fine dei tempi, e del banchetto eucaristico nel tempo intermedio.
L’evoluzione storica ha proposto:
- l’accentuazione penitenziale dell’atto liturgico, contrariamente alla tradizione romana (dove, ancora nel XII secolo, è attestato il Te Deum e il Gloria cantato);
- il formarsi di una spiritualità nuova, iniziata con s. Francesco, che insistendo sull’Incarnazione storicizza la memoria del Natale, e spiritualizza l’attesa escatologica (cfr. il triplex adventus di s. Bernardo, ove si sottolinea l’avvento intermedio, come “via per passare dal primo al terzo avvento” addirittura si parla di quadruplex adventus, contemplando pure l’avvento mistico…).
Nella riforma liturgica, il tempo di Avvento riacquisisce la sua originaria doppia caratteristica: è un tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. L’Avvento è pertanto sospensione del tempo ordinario per attendere, cercare, desiderare e ricordare la salvezza, come promessa, dono e compimento. È molto di più che la semplice preparazione al Natale: nella misura in cui celebra l’inizio e la fine della storia della salvezza, esso è figura ed esperienza del tempo escatologico della fede, che invita a tenere insieme la memoria e l’attesa, l’inizio e la fine, la lode e la pazienza, camminando nel mezzo, sul crinale tra il già compiuto e il “non ancora del tutto” completato. Tutta la Scrittura è attraversata dalla dialettica del “già” e “non ancora”.
I temi dei Vangeli delle singole domeniche di Avvento sono riassunti dall’Introduzione al Lezionario:
- la venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica);
- il Battista e l’imminente venuta di Cristo (II e III domenica);
- gli antefatti immediati della nascita di Gesù (IV domenica).
La prospettiva entro cui cercheremo di leggerli è quella duplice del discepolo e dell’apostolo, chiamato a realizzare la Parola per la propria salvezza e per la salvezza di tutti. La distinzione dei temi nelle singole domeniche non deve far dimenticare il loro intreccio, per cui ciò che emerge nella prima domenica, ritorna nelle successive.
I Domenica: la vigilanza
Là dove tutto appare sotto il segno del negativo e dell’oscurità, l’attesa dei cieli squarciati (Is 63,19) rischia di rimanere troppo vaga, così come la memoria dei cieli aperti rischia di rimanere poco viva. Non è cosa ci manca, ma chi ci manca! A lui gridiamo: vieni, vieni, Signore Gesù; ritorna, per amore dei tuoi servi (prima lettura). L’attesa del ritorno è tanto più intensa quanto più si tiene a chi si aspetta. E noi attendiamo il Signore! L’invito alla vigilanza ci chiede, prima di tutto, di valutare il desiderio che ci spinge ad attendere vigilanti. La vigilanza non è altro che il desiderio che si trasforma in attenzione paziente e perseverante. Il “Vigilate”! Ripetuto quattro volte, per stare all’erta (Mc 13), perché il giorno verrà (“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”, profetizza Isaia 9,1-6: così ascolteremo nella notte di Natale). Come vigilare? La vigilanza si propone come possibilità alternativa di fronte al l’impossibilità di dominare anche la sfida del tempo. La vigilanza risponde custodendo i tratti di un’attesa attiva, che fa stare al tempo stesso ben fermi e in costante movimento. I vangeli della vigilanza riportano alcune figure di vigilanza (il portinaio che aspetta il padrone, il padrone che aspetta il ladro…) per ribadire la necessità di stare svegli, assorti a cogliere i segni del Regno di Dio che passa. Vigilare è custodire la memoria, nutrire il desiderio, discernere le cose ultime in quelle penultime, unificare il cuore e la mente attraverso l’ascesi, essere attenti, con gli orecchi e gli occhi aperti. Il primo appello è in ogni modo a stare in casa, a rientrare in noi stessi, per custodire – a nome di tutti (“Lo dico a tutti”) e per tutti – l’invocazione del Regno.
II Domenica: la conversione
L’ “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” è idealmente posto da Marco nel deserto. L’Avvento chiede di uscire da noi stessi, di compiere il nostro esodo per cercare non una terra promessa agli antichi padri, ma lo Sposo, il Signore, sulle cui “spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace! Noi, per primi, siamo chiamati a preparare e raddrizzare le vie di Colui che viene! a
Per “vigilare” in modo da “preparare” occorre sapere dove siamo, quali sono i sentieri dentro i quali stiamo camminando, per cambiare rotta, e rivedere gli orizzonti spesso troppo angusti della nostra vita. Occorre passare attraverso il deserto: luogo dell’essenzialità, della sete e della fame, della prova, ma pure dell’incontro con Lui. La conversione consiste nello spianare la strada, colmando le valli e abbassando le colline: colmare i vuoti, eliminare il superfluo, allargare gli orizzonti, guardare più lontano e più alto, per capire ciò che hai vicino. Il cristianesimo è senso della prospettiva e criterio di verità e di valore. La figura dominante di questa Domenica è quella del Battista, Voce che grida la Parola, esempio di vita che ritrova l’essenziale, gesto profetico che coinvolge fino ad identificare l’identità più profonda. Un invito preciso a rivedere lo stile personale e comunitario delle nostre parole, gesti, stili di vita.
III Domenica: la testimonianza della gioia
Apparentemente il protagonista è ancora il Battista. Ma, alla luce dell’imperativo Gaudete! Che risuona potente in tutte le letture di questa Domenica vediamo che non c’è Avvento senza gioia e luce, e anche la fatica di preparare la strada al Signore che viene è ascesi gioiosa. L’allegrezza dell’Antifona, quella della Colletta, la certezza del profeta Isaia (“Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio”), l’invito dell’Apostolo (“State sempre lieti, in ogni cosa rendete grazie”), il Salmo dell’esultanza di Maria (“L’anima mia magnifica il Signore”), sono quelli di chi ha incontrato Dio! La gioia cristiana vince la paura, lo sconforto e la delusione, la disperazione, non con una infantile spensieratezza, ma nella maturità consapevole con cui proclama il Vangelo della liberazione, e della cura che fascia i cuori spezzati (Is 61). Nel Vangelo secondo Giovanni (organizzato come un lungo processo dove Gesù, l’imputato, ha bisogno di testimoni per difendersi dagli avversari), il primo testimone della Luce è il Battista, che punta l’indice verso Gesù, e definisce se stesso in vista di Lui. Giovanni è qui figura dell’AT e di tutta la Scrittura, in quanto voce in cui risuona la Parola. Tutta la Scrittura infatti non è Cristo, ma ne costituisce la voce, che non parla che di Cristo, annunciando la salvezza vicina. La riprova è che il Battista si definisce con la Scrittura stessa, tanto è ad essa sottomesso. La figura del Battista non può non provocare noi che dovremmo essere annunciatoti del Vangelo, discepoli di ogni tempo, chiamati a diventare testimonianza vivente di Colui che riscatta dal buio. Come e dove dunque essere più luminosi, come essere profeti in questo mondo di Colui che è già in mezzo a noi?
IV Domenica: la presenza e l’attesa
Dal deserto l’azione si sposta nella casa, nell’intimo della vita privata, nel tempio della chiesa domestica, per attendere con Maria, Colui che è già presente nei nostri cuori e attende di manifestarsi nella nostra vita di tutti i giorni. In Maria contempliamo il compimento, la realizzazione piena dell’invito a vigilare, a preparare, a gioire. Così lei si costruisce come la degna dimora, di cui Dio è alla ricerca, una dimora di carne. Colui che non aveva una pietra su cui posare il capo, perché la sua casa era il seno del Padre (Gv 1,18), trova in Maria una dimora viva, di carne. E di questa stessa carne Dio si riveste. Maria è paradigma della vita cristiana. La vita è una certezza (Il Signore è con te),in cui si manifesta una proposta (Concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù), che esige una risposta (Eccomi), capace di attraversare il turbamento e la difficoltà (come è possibile). Per divenire una degna dimora, tempio vivo della sua Gloria.
“Domandiamoci in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi – frutti tradivi di questo ventesimo secolo post Christum natum – potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa nella grotta di Betlemme, al bambino che ci era stato donato? Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l’Avvento di Dio? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro proprio futuro? Siamo uomini dell’Avvento, che hanno nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo e con gli occhi che spiano cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?” (Johann Baptist Metz).
Prima parte: Meditazione sul Tempo di Avvento [QUI]
Indice dei podcast trasmessi [QUI]