Convegno su “San Giorgio, origine, culto e arte nella storia” svolto dalla Sezione di Agrigento della Delegazione Sicilia Occidentale presso la cappella del Cristo Nero a Licata

Sabato 23 novembre 2024 alle ore 16.00, si è svolto il Convegno sul tema San Giorgio, origine, culto e arte nella storia presso la cappella del Cristo Nero della Chiesa Madre di Santa Maria La Nova in corso Vittorio Emanuele 84 a Licata. Organizzato dalla Sezione di Agrigento della Delegazione della Sicilia Occidentale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, nell’occasione della Mostra iconografica San Giorgio nella storia dell’arte, l’iniziativa ha ottenuto il Patrocinio del Comune e della Chiesa Madre di Licata. Per i Licatesi “A Matrici”, la Chiesa Madre o Duomo di Licata viene chiamata chiesa di Santa Maria La Nova per distinguerla dalla chiesa di Santa Maria La Vetere.
Cristo Nero

A conclusione del Convegno su San Giorgio, origine, culto e arte nella storia, nella Chiesa Madre alle ore 18.30 è stata celebrata la Santa Messa, presieduta dall’Arciprete Don Angelo Fraccica.

Al termine della Celebrazione Eucaristica, prima della Benedizione Conclusiva, il Segretario Generale della Delegazione della Sicilia Occidentale, Dott. Salvatore Glorioso, Cavaliere de Jure Sanguinis, ha recitata la Preghiera del Cavaliere Costantiniano.

Preghiera del Cavaliere Costantiniano

Successivamente, i partecipanti si sono ritrovati per un’agape fraterna in un ristorante locale.

In apertura del Convegno, il Sindaco di Licata, Avv. Angelo Balsamo, ha ringraziato l’Ordine Costantiniano per l’invito alla manifestazione, esprimendo il suo elogio per l’impegno di Fede molto importante, che va sostenuto e portato avanti con l’entusiasmo che contraddistingue la Sacra Milizia in questa terra, nonché per le attività caritatevoli nei confronti delle persone meno fortunate.

Quindi, l’Arciprete della Chiesa Madre di Santa Maria La Nova, Don Angelo Fraccica, nel suo saluto ha sottolineato di aver accolto con entusiasmo l’idea di ospitare la manifestazione dell’Ordine Costantiniano, perché voler parlare di Dio e della Fede in San Giorgio presso la splendida cappella del Cristo Nero, piena di storia e di fede dei Licatesi, riempie di orgoglio i fedeli. Ha detto di essere in attesa di ascoltare il lavoro dei relatori per ascoltare anche lui il prezioso e incessante lavoro di ricerca dei Relatori sulla storia di San Giorgio Protomartire, come un discepolo che ascolta il maestro. Infine, si è dichiarato inorgoglito dal fatto che uno dei Relatori, il Prof. Calogero Lo Greco, è stato un suo allievo negli anni Settanta.

Dopo i saluti iniziali, la Referente per Agrigento, Dott.ssa Maria Luisa Tornambè, Dama di Merito con Placca d’Argento, ha introdotto i Relatori Giuseppe Caci, Cavaliere di Ufficio e lo storico Prof. Calogero Lo Greco, di cui riportiamo di seguito la trascrizione delle loro Relazioni.

A conclusione del Convegno, a cui hanno partecipato Cavalieri, Dame, Postulanti e amici delle Sezioni di Palermo, Agrigento e Caltanissetta della Delegazione della Sicilia Occidentale del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Segretario Generale, Dott. Salvatore Glorioso, Cavaliere de Jure Sanguinis, ha letto il Messaggio inviato dal Delegato, Nob. Prof. Salvatore Bordonali, Cavaliere Gran Croce di Giustizia: «L’evento di Licata s’inquadra nel programma della Delegazione di essere una Sacra Milizia a servizio anzitutto di valori, quelli propri della nostra tradizione Cristiana, oggi osteggiata per un malinteso senso di rispetto delle culture altre, rispettabilissime ma che sono, appunto, altre. Come un ingenuo pacifismo predica il disarmo dimenticando che la pace va difesa in ogni modo, anche scoraggiando l’aggressione, così i nostri valori necessitano di essere riaffermati continuamente e tramandati con coraggio. La pace civile non è una resa unilaterale, ma libero confronto di idee, a partire dalle nostre. Ed è quello che oggi viene fatto qui a Licata, in questa bella chiesa dalla pianta basilicale e testimonianza di altre aggressioni avvenute nel passato e superate.
San Giorgio, come ci ricordano oggi il confratello Caci e il Dott. Calogero Lo Greco, era un soldato romano martire del Cristianesimo, che aveva appreso dai genitori. Simbolo della lotta del bene contro il male (il drago), la sua immagine ci è stata consegnata da trionfatore a cavallo: è un trionfo simbolico, naturalmente, non legato alla spada ma alle opere di carità e d’insegnamento. Su questo esempio, cari confratelli, dobbiamo proseguire un cammino di civiltà e precisamente della civiltà europea, che ha profonde radici Cristiane e che compone idealmente una famiglia, naturale e spirituale, sotto la guida del nostro Gran Maestro Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie».

Quindi, il Segretario Generale ha ringraziato il Sindaco di Licata, Avv. Angelo Balsamo, per il suo sostegno e le sue parole in apertura dei lavori, e l’Arciprete Don Angelo Fraccica, che ha l’importante compito di custodire la meravigliosa Chiesa Madre di Licata e la sua cappella del Cristo Nero. Quindi, ha continuato: «Desidero ringraziare la Dama Dott.ssa Maria Luisa Tornambè e i relatori, il Cav. Giuseppe Caci e lo storico Prof. Calogero Lo Greco per l’ottima organizzazione del Convegno, che ha certamente richiesto un grande lavoro, fatto da ricerca, comparazione, svolto in diversi mesi di lavoro».

Poi, il Segretario Generale ha proposto la realizzazione un podcast sul tema del Convegno, magari ridotto a 45 minuti, da trasmettere al Servizio Podcast dell’Ufficio Stampa della Real Commissione per l’Italia, coordinato dal Prof. Enzo Cantarano [QUI], affinché questa ricerca possa essere messa a disposizione di tutte le Delegazioni della Sacra Milizia.

Infine, il Segretario Generale ha ringraziato anche Padre Roberto Toni, che ha presenziato al Convegno, e ha concluso: «È un momento particolarmente felice per l’Ordine Costantiniano nella Provincia di Agrigento, perché in 2/3 anni ha visto uno sviluppo importante grazie anche alla sapiente guida della Referente Dott.ssa Maria Luisa Tornambè, senza la cui dedizione e impegno per l’Ordine non saremmo qui oggi; un lavoro testimoniato anche dal numero crescente di Postulanti che si avvicinano all’Ordine in questa provincia».

Licata, comune del libero consorzio comunale di Agrigento, si estende per 24 km lungo la costa meridionale della Sicilia, al limite occidentale del Golfo di Gela, disposto a ridosso di una collina detta la Montagna. Il territorio comunale è fortemente caratterizzata dalla presenza del fiume Salso che ha dato origine ad una vasta pianura alluvionale detta la Piana, con alcuni modesti rilievi collinari, Il Salso sfocia nel mare di Licata con un estuario che divide quasi a metà l’area urbana.

 “A Matrici”, la Chiesa Madre di Santa Maria La Nova di Licata, è stata consacrata nel 1508 e dedicata alla Natività della Madre di Dio, intitolata ai Santi Antonio e Vincenzo. La costruzione di questa nuova chiesa avvenne in seguito all’espansione verso il mare della Città di Licata, in quello che un tempo fu chiamato Cassarello (oggi corso Vittorio Emanuele), in sostituzione della preesistente chiesa romanica di Santa Maria La Vetere, risalente al VI secolo. Alcuni decenni dopo la sua edificazione, la chiesa vene distrutta durante l’attacco franco-turco del 1553 e la sua ricostruzione è avvenuta tra i secoli XVII e XVIII. Con statuto redatto il 10 aprile 1771 la chiesa è elevato alla dignità di collegiata (Venerabile Insigne Secolare Collegiata) con Bolla di Papa Clemente XII.

Il duomo di Licata è imponente dal punto di vista architettonico, con un impianto basilicale a tre navate, dove si fondano gli stili rinascimentali e barocco. Al suo interno sono conservate opere di un certo pregio: il fonte battesimale marmoreo di Gabriele da Como (XV secolo), il coro ligneo del presbiterio (XVIII secolo), i monumenti marmorei di alcuni canonici della Collegiata. Degni di considerazione anche gli altari marmorei laterali e le balaustre marmoree (XIX secolo), i simulacri lignei di San Sebastiano (XVII secolo) provenienti dall’omonima chiesa andata distrutta, quelli dell’Immacolata o Cuore di Maria e di San Giuseppe con Bambino di Ignazio Spina (XIX secolo) e di San Giuseppe Maria Tomasi (XX secolo), proclamato compatrono della città subito dopo la sua canonizzazione. Importante anche la tavola dell’Adorazione dei Pastori di Deodato Guinaccia (1572), la tela della Natività di Maria Santissima di scuola fiamminga attribuita a Giovanni Portalumi (XVII secolo), le tele di Frà Felice da Sambuca (XVIII secolo) e gli affreschi realizzati da Raffaello Politi (1824) con la collaborazione di Giuseppe Spina.

Nella cappella del Cristo Nero, ove si è svolto il Convegno, è custodito un Crocifisso in legno del XV secolo, opera di Iacopo e Paolo de Matinali, maestri intagliatori di Messina, che realizzarono anche quello esistente presso la Chiesa Madre di Alcamo. Lo stile è tipicamente Barocco, contornato da elementi di pregio, quali la copertura in oro zecchino e le decorazioni, oltre che il lavoro ad intarsio. Inoltre, nella cappella vi sono pregevoli dipinti sulla storia degli apostoli.

La cappella è chiamata “del Cristo Nero”, perché secondo la leggenda tramandata per secoli, nel luglio del 1553, una flotta di 104 navi composta da Turchi e Francesi riuscì ad invadere Licata. Vi furono i morti e deportati, la città fu saccheggiata e data alle fiamme. Le reliquie di Sant’Angelo furono portate via e nascoste dai fedeli prima che i Turchi arrivassero in Città. Però, il Crocifisso non fu distrutto dal rogo ma ne rimase solamente annerito. Posto in origine pendente molto in alto dall’arco trionfale della navata, il Crocifisso fu colpito anche dalle frecce scagliate dai Turchi ma rimase praticamente indenne, anche se in alcuni punti si notano ancora i segni.

Dopo questi fatti, i Licatesi trasferirono la Sacra Immagine nella cappella che venne dedicata al Crocefisso Nero e scelta come luogo privilegiato di culto, di venerazione e di particolare devozione. Attorno alla miracolosa immagine del Crocefisso Nero è stata riportata la testimonianza del Vescovo di Agrigento, Mons. Francesco Traina che, durante una visita pastorale a Licata nel 1627, definì così il Crocefisso: “È antico, di miracoli e di sagitti del Turco”. II Serrovira nella storia di Licata del 1700 scrive: “Nella Matrice si adora con molta riverenza l’immagine antichissima e miracolosa del SS. Crocifisso, di legno e di eccellente mano. Anticamente era collocato nell’arco maggiore della navata. La città dell’Alicata fu arsa e saccheggiata da Turchi e Francesi l’11. luglio 1553. Li diedero, quelle malnate genti, fuoco per abbrugiarla, ma vedendo che non potessero ottenerlo li scoccarono molte saette e tre soltanto rimasero affisse. Li Alicatesi s’accesero più nella divozione e posero il Crocifisso nella Cappella vicino l’altare maggiore». Il culto fu curato dall’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, detta dei Nigri per richiamarsi al colore della statua, costituita nel 1602 e che svolse la sua attività sino alla seconda metà del XVIII secolo.

Oggi sappiamo che il Crocifisso della cappella del Cristo Nero, realizzato dai fratelli Matinali, in realtà è nero per una tendenza artistica dell’epoca e che è realizzato in un composto praticamente ignifugo. Il Crocifisso resistette anche all’incendio del 1988, causato da un petardo esploso durante la festa patronale, che distrusse la piccola cappella della Madonna della Maenza (fatta costruire dalla Collegiata nel 1786) e tutto l’archivio parrocchiale, che conteneva molti documenti antichi di valore e gli abiti di 40 canonici. Di ligneo sono realizzate solo le mani, i piedi e alcuni particolari, mentre tutto il resto e formato da un impasto praticamente ignifugo come accertato dal Prof. Calogero Lo Greco dopo l’incendio.

La Relazione di Giuseppe Caci

Il Relatore Giuseppe Caci, Cavaliere di Ufficio, ha accompagnato il suo intervento sulla Mostra iconografica San Giorgio nella storia dell’arte con delle schede in power point, che hanno fatto scorrere delle splendide immagini di San Giorgio, come anche di altri Santi quali San Giacomo, San Maurizio e San Martino, che erano Cavalieri, rappresentati mentre combattono in guerre e battaglie contro infedeli e draghi, e San Martino che dona il suo mantello ad un povero.

«Di San Giorgio, il patrono del nostro Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, non abbiamo dati certi riferiti alla sua nascita, che si attesta all’anno 275/280 d.C. in Cappadocia, una vasta provincia romana dell’Anatolia centrale, nell’odierna Turchia. Muore decapitato il 23 aprile del 303 d.C. a Nicodemia, antica città dell’Anatolia, odierna città turca rinominata Izmit.

San Giorgio viene descritto come un santo Cristiano e un santo megalomartire. I megalomartiri sono santi che nonostante le varie pene inflitte loro, risorgevano per guarire le persone e per aiutare i più deboli. Uno di questi è San Giorgio.

Non ci sono dati esatti sulla sua biografia, ma dati certi sul fatto che fosse un Cavaliere vi è traccia nelle citazioni rinvenute su Devotis sanctis di Antonino da Piacenza e nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Il suo culto è molto antico, risalente al IV secolo.

Le principali informazioni provengono dal Passio sancti Giorgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 d.C. classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte biografica Giorgio, figlio di Geronzio, Persiano, e di Policromia, Cappadoce, fu educato dai genitori alla religione Cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell’esercito dell’Imperatore Diocleziano e si distinse quale valoroso soldato, divenendo guardia del corpo dell’Imperatore.

Il martirio di San Giorgio sarebbe avvenuto sotto l’Imperatore Persiano Daciano, che voleva sterminare i Cristiani. Catturato, Daciano convocò la Corte per decidere la fine di Giorgio. Donati tutti i suoi averi, si confessò Cristiano e all’invito dell’Imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò.

Secondo la leggenda venne torturato e messo in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione. Condannato a essere tagliato in due con una ruota piena di spade e chiodi, Giorgio resuscitò operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, uccisi a fil di spada. Entrò in un tempio pagano e con un soffio abbattè gli idoli di pietra. Convertì l’Imperatrice Alessandra e anch’essa fu martirizzata. Successivamente, l’Imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e prima di essere decapitato, Giorgio implorò Dio che Diocleziano fosse incenerito insieme alla Corte. Le sue reliquie sono conservate in una cripta sotto la chiesa di rito greco-ortodosso a Lydda, in Israele, dove operò diversi miracoli.

Ma è opportuno fare un passo indietro al III secolo d.C., quando San Demetrio viene raffigurato in una iconografia in battaglia contro gli infedeli, così come San Teodoro di Amasea, che si possono identificare in San Giorgio, perché rappresentati su di un cavallo bianco, con l’armatura e il drago e il serpente, che rappresentano gli infedeli da sconfiggere in battaglia.

L’iconografia di San Giorgio in realtà non nasce come il santo che uccide il drago, bensì mentre uccide esseri umani, cioè gli infedeli. In un bassorilievo, custodito sull’isola di Artramar, vengono raffigurati San Giorgio, mentre uccide un essere umano, e San Teodoro, mentre invece uccide un drago serpente.

Anche i martiri San Teodoro di Amasea e San Teodoro di Eucapia (Amasea ed Eucapia stessa zona della Turchia) furono condannati a morte: il primo perché si rifiutò di abiurare la religione Cristiana davanti l’Imperatore Diocleziano, mentre il secondo fu condannato a morte perché cercò di convincere l’Imperatore ad abbandonare l’idolatria.

Successivamente, San Teodoro di Amasea e San Teodoro di Eucapia vengono identificati in un unico personaggio, San Giorgio, tant’è che progressivamente vengono attribuite al santo le caratteristiche peculiari, cioè su di un cavallo bianco, con armatura, corazza, lscudo e il drago, con l’aggiunta di un altro personaggio, la Principessa di Selene.

In una lastra calcarea ad Amasea si notano San Giorgio e San Teodoro mentre conficcano la lancia nel petto del nemico. Proprio in quel periodo, tra il III e il IV secolo d.C., in Oriente prende definitivamente piede il culto di San Giorgio, tant’è che nella chiesa di Santa Barbara in Cappadocia viene raffigurato San Giorgio in tutta la sua iconografia.

Il culto di San Giorgio, dopo le Crociate del XI secolo, iconografato inizialmente come San Teodoro, inizia ad essere diffuso anche in Italia, a Brindisi e a Venezia.

A Venezia a piazza San Marco vengono raffigurati il leone e San Teodoro, ma quest’ultimo per le sue peculiari caratteristiche identificative, per l’appunto il cavallo bianco, l’armatura, la corazza, lo scudo e il drago, ha le caratteristiche iconografiche di San Giorgio, dai Veneziani identificato quale San Todaro.

A Brindisi, punto di partenza dei Crociati per l’Oriente, in un affresco in San Giovanni al Sepolcro, deterioratosi a seguito della sovrapposizione di altra immagine, venuto alla luce dopo il restauro, vengono raffigurati due cavalli, uno a destra e uno a sinistra con il drago, che fa supporre la venerazione di San Giorgio già all’epoca.

Altre testimonianze del culto di San Giorgio in Italia, a Bologna si presentano nei quadri del XIV secolo che raffigurano San Giorgio, la principessa e il drago, custoditi rispettivamente nella pinacoteca di Bologna e nella basilica di San Zeno.

Il rinascimento porta delle novità sostanziali, soprattutto a Firenze, dove Donatello e Brunelleschi iniziano a studiare come raffigurare i loro personaggi secondo proporzioni geometriche. Donatello raffigura San Giorgio con il portamento fiero dopo aver salvato la Principessa di Selene dal drago.

In altre realizzazioni, come quella di Paolo Uccello, possiamo vedere San Giorgio rappresentato secondo uno stile prospettico diverso. Opere di Paolo Uccello dedicate a San Giorgio si trovano anche a Parigi, Melbourne e Londra. In una di queste, si può notare la Principessa Selene che porta al guinzaglio il drago come un cane per mostrarlo ai suoi concittadini di Selene per convincerli a convertirsi al Cristianesimo. Dopo averlo ucciso, San Giorgio battezzerà i Seleni.

Altre rappresentazioni sono attribuite a Raffaello, mentre Carpaccio stilizza San Giorgio in un dipinto custodito presso la Scuola di San Giorgio agli Schiavoni a Venezia, non a Selene ma bensì in un ambiente veneziano.

In una icona risalente al XIV secolo custodita a Novogoro in Russia sono rappresentate, in più pannelli, San Giorgio a cavallo, mentre battezza gli infideli, quando viene torturato con la ruota e poi condannato a morte.

Altre realizzazioni si possono ammirare a Padova, una risalente al XIV secolo, dove San Giorgio viene trascinato davanti a Daciano, o Diocleziano.

In altre due iconografie possiamo ammirare San Giorgio mentre si spoglia dalle vesti, come successivamente farà San Francesco. Questo si spiega con la necessità della Chiesa in quel periodo di esaltare la povertà. Ma il messaggio non era quello di diventare poveri, cioè non uomini e donne senza materiale disponibilità di averi e di poter accedere alle cure, ma poveri nello spirito, poveri dentro, cioè darsi agli altri vivendo nella povertà (cit. San Francesco). Ma la Chiesa non voleva imitare San Francesco, ma chiedeva di essere mendicanti nell’intimo del proprio essere. A San Giorgio viene attribuito anche questo, cioè era considerato un portatore di comunicazione alle genti della povertà.

A San Giorgio venne inflitta anche la tortura dell’immersione nel piombo fuso.

Nel corso di un’altra tortura citata nel Passio sancti Giorgii, quella della ruota con chiodi e lame che lo divise a metà, gli angeli lo riportano in vita. A San Giorgio venne attribuito il titolo di megalomartire, perché tra la vita e la morte operò dei miracoli. Gli angeli lo salvano non perché vogliono togliergli la palma del martirio, bensì per confondere i carnefici e i persecutori.

Ho mostrato e citato le iconografie più famose perché ce ne sono tantissime dedicate a San Giorgio in tutto il mondo ed è quasi impossibile citarle e catalogarle tutte.

Un altro emblema che i Cavalieri hanno portato dall’Oriente in Occidente è quella solare, che consiste nell’avere una ciclicità che non finisce mai, quindi il sole al centro e gli astri che ruotano attorno ad esso. Per la Chiesa al centro dell’universo sta l’immagine di Dio. Quindi Dio è al centro e tutti gli altri, santi e beati, ruotano attorno a Lui. Poi, arriva il momento in cui Dio si fa uomo quindi la ruota diventa il luogo degli umani, come la ruota della tortura, il luogo della tortura dove il personaggio ha paura della morte. Ma, se con la ruota tutto finisce, per i Cristiani che senso ha andare avanti? Ce lo dice il Passio sancti Giorgii, dove Dio spezza la ruota, quindi salva San Giorgio. Questo scenario lo vediamo nelle iconografie e tutta l’arte sotto forma di significati sottesi in tutte le sue rappresentazioni. Anche Santa Caterina d’Alessandria venne sottoposta alla ruota della tortura e la ruota si spezzò anche in questo caso.

Concludo con l’ultima tortura che fu inflitta a San Giorgio, cioè la decapitazione. Il Santo fu portato davanti a Daciano (o a Diocleziano non è dato saperlo con esattezza). Vennero consultati i 72 Principi dell’Oriente per chiedere loro quali pene infliggere a Giorgio. In un dipinto di Aprichiero, conservato presso l’oratorio di San Giorgio a Roma viene rappresentata la sua decapitazione. Ma sono tantissime le opere relative alla stessa scena, per esempio l’opera di Paolo Veronese custodita nella chiesa di San Giorgio in Braida a Verona, raffigurata da Paolo Veronese.

La Relazione del Prof. Calogero Lo Greco

«Parlare di San Giorgio non è affatto una cosa semplice. Sicuramente perché alla base della fondazione del vostro Ordine cavalleresco è citata una frase incisa su una lapide in cui si cita la fondazione di un Ordine cavalleresco nel periodo di Costantino nel periodo che va dal 300 al 330 d.C. In un tempo così ristretto non si poteva di certo inventare un santo, un mito, anche se a quel tempo si usava la forma panegirica per esaltare le gesta e le virtù di un santo, quindi, inevitabilmente, è stata trasmessa a noi una storia comunque per così dire lievitata rispetto a quella reale, seppur consistente.

San Giorgio, durante il periodo in cui era militare, si interrogò se il suo incarico fosse compatibile o meno con la fede Cristiana. Inizialmente Giorgio resta militare, ma poi iniziarono le terribili persecuzioni contro i Cristiani ordite da Diocleziano. Giorgio comprende che non può più mantenere lo status di militare e si spoglia.

Senza dubbio fu un militare, quindi nella prima fase iconografica fu raffigurato come tale con la lancia, la spada, l’elmo sul suo cavallo, raffigurato sempre bianco, il colore della purezza, come diceva Sant’Agostino, come i cavalli dei Cavalieri dell’Apocalisse, servitori del bene. Infatti, in greco, San Giorgio veniva soprannominato “O Τροπαιοφόρος” (tropeoforo, “il vittorioso”), oltre a megalomartire.

Ma di Giorgio non si può citare solo l’episodio in cui salva la Principessa di Selene, bensì anche quando salva le vedove, soccorre i poveri. Un episodio nella vita di Giorgio lo fa entrare anche nella categoria dei santi cosiddetti ausiliatori. Sono 15 santi, tra cui Margherita d’Antiochia, per cui il presupposto per divenire santo ausiliatore è stato di resistere alle torture e guarire una determinata malattia. Giorgio è infatti considerato il patrono guaritore delle malattie della pelle.

L’immagine che ci è stata tramandata, almeno in Sicilia, è quella di un santo di “regime”. Al 1063 risale la celebre battaglia di Cerami, su cui diverse leggende sono nate nel tempo: prima fra tutte, quella secondo cui San Giorgio, vestito di bianco, a cavallo, armato di una lancia con croce vermiglia, avrebbe rotto le righe dell’esercito musulmano, conducendo i Normanni alla vittoria. L’emblema della croce rossa su sfondo bianco riportata nelle moltissime iconografie di San Giorgio, visibile mentre cavalca il suo destriero, è divenuta poi, ristilizzata, l’emblema di molti Ordini cavallereschi (Ordine Teutonico, Ordine della Giarrettiera, etc.), senza nulla togliere all’Ordine Costantiniano, che risale all’Imperatore Costantino quando conquistò la Croce e, soprattutto, il motto in hoc signo vinces (sotto questo segno vincerai).

Giorgio, secondo la leggenda, si manifestò anche nel corso della ormai famosa battaglia di Gerusalemme, ma il problema dell’Ordine Costantiniano sorse quando la Chiesa romana di Oriente si distaccò da quella di Occidente. L’Ordine Costantiniano è stato sempre considerato un Ordine cavalleresco profondamente religioso sotto la Regole di San Basilio mentre altri Ordini vengono posti sotto la Regole dei Cistercensi, mentre i Templari sono posti sotto la Regole degli Agostiniani.

Quando sotto Papa Clemente V accadde la tragedia che vide scomparire l’Ordine dei Templari, nascono diversi Ordini cavallereschi. Molti Templari che custodivano i beni dell’ordine rifiutarono di consegnarli ai dignitari dell’Ordine di Malta. Nascono, tra gli altri, l’Ordine di Sant Jordi d’Alfama (o Ordine di San Giorgio d’Alfama) un Ordine militare fondato nel 1201 da Pietro il Cattolico, Re di Aragona; l’Ordine di San Giorgio in Carinzia, fondato nel 1468 da Papa Paolo II; l’Ordine di San Giorgio a Ravenna e a Genova per difendere le coste dagli invasori.

Nell’Arcidiocesi di Agrigento ci sono diverse chiese dedicate a San Giorgio, per esempio quella di Caltabellotta, fondata dal Conte Ruggero in onore di San Giorgio quando apparve nel corso della battaglia di Cerami.

La leggenda narra che una reliquia di San Giorgio sia stata trasportata da Sant’Angelo a Licata per salvarla dagli invasori Turchi. Quindi, i Licatesi avrebbero voluto rappresentare Sant’Angelo sull’altare della Chiesa Madre, ma per una norma canonica non è stato possibile, quindi si decise di rappresentare San Giorgio. Quindi il quadro esistente in questa chiesa nasce come una rappresentazione di una devozione che già esisteva. San Giorgio è rappresentato nel momento in cui i carnefici stanno sguainando la spada per tagliargli la testa. Non si distingue il loro volto perché il male non ha un’immagine ben definita; è brutto, è oscuro. Giorgio con il martirio rinuncia ad essere un soldato, ma lo diventa di Cristo. Quando sfila davanti ai soldati romani lo fa sorridendo perché il martirio dona forza. La sua morte non è avvenuta invano perché definisce la fine del mondo pagano con il suo martirio, che spazza via gli idoli».

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