La solenne Santa Messa celebrata alle ore 11.00 nella chiesa abbaziale di Casamari è stata presieduta dal Vescovo emerito di Viterbo, Mons. Lino Fumagalli, Cappellano Gran Croce di Merito, concelebranti l’Abate, Dom Loreto Maria Camilli, S.O. Cist.; il Postulatore generale per le cause dei santi dell’Ordine Cistercense-Casamari, Referente per l’abbazia di Casamari della Delegazione della Tuscia e Sabina, il Prof. Padre Domenico Volpi, S.O. Cist., Cappellano di Merito con Placca; monaci e presbiteri delle Diocesi di Frosinone-Veroli e Sora-Aquino-Pontecorvo-Subiaco.
Nella sua omelia, dopo essersi soffermato sugli episodi più salienti della vita del santo fondatore del monastero di Clairvaux, Mons. Fumagalli ha esortato i monaci a restare fedeli alla regola di San Benedetto, impegnandosi nel mantenimento della Chiesa e del complesso abbaziale, e nelle opere di pietà, carità, esercitate da tanti secoli attraverso travagliate vicende storiche.
Al termine del sacro rito, i Confratelli Costantiniani si sono intrattenuti con l’Abate, che ha manifestato al Delegato vivo compiacimento per loro iniziative caritatevoli e culturali, ricordando altresì gli stretti legami tradizionali tra l’abbazia di Casamari e la Delegazione della Tuscia e Sabina, seguiti spiritualmente dal Padre Volpi. Con l’occasione, il Delegato ha rimesso all’Abate un’offerta per le missioni cistercensi in Eritrea.
San Bernardo
Monaco riformatore, Abate Cistercense
e Dottore della Chiesa
Bernardo nacque nel 1090, a Fontaines, da una nobile famiglia della Borgogna, vicino a Dijon in Francia. Dopo la sua educazione in seno alla sua famiglia, profondamente religiosa, venne mandato a Chátillon per gli studi veri e propri, alla scuola dei Canonici di San Vorles. Tornato a casa, viveva come i suoi giovani contemporanei con i fratelli più anziani di lui, ma, ragazzo silenzioso e riservato, decise che il suo posto era a Cîteaux (Cistercium, in latino, da cui l’appellativo di Cistercensi), nel monastero fondato da Roberto di Molesmes, già ben conosciuto nei dintorni. Non appena fu certo della propria vocazione, si mise a convincere tutti i suoi fratelli, i parenti più stretti e gli amici perché si unissero alla sua scelta, alla sua santa e lodevole impresa. Fu quella la prima occasione in cui dimostrò di essere un leader nato, con una volontà incrollabile e un irresistibile fascino personale. A 22 anni, nella primavera del 1113, egli insieme ai suoi compagni, chiese di essere ammesso a Cîteaux. Qualche anno dopo, fonda il monastero di Clairvaux (Chiaravalle). Lo seguono 12 compagni, tra cui 4 fratelli, uno zio e un cugino. Sono molti i suoi parenti che, dopo il suo esempio, hanno intrapreso la vita religiosa.
È comunemente accettato che le vocazioni religiose erano abbondanti nella così detta “età della fede”. La prima metà del dodicesimo secolo si distingue, perfino nel Medio Evo, come epoca unica nel suo genere per l’entusiasmo devozionale, quando la vita monastica divenne un movimento di massa dalle proporzioni senza confronto. Come in casi analoghi, ad esempio le Crociate, non ci sono spiegazioni razionali per comprendere fino in fondo il motivo per cui migliaia e migliaia di uomini si dimostrarono disponibili ad abbandonare il mondo per cercare Dio tra le mura di istituzioni dove ogni cosa era prevista per offrire ampie opportunità di condurre una esistenza di austerità eroiche.
Anche i contemporanei erano perfettamente coscienti di ciò che stava succedendo, sebbene, alla ricerca dei motivi profondi, fossero sconcertati quanto noi. Non c’è dubbio che in quelle circostanze, Cîteaux era quasi obbligato ad avere un gran successo. Il suo programma ascetico era quasi il compendio di ciò che i contemporanei attendevano; era organizzato sotto una guida autorevole capace e ispirata, e le strutture costituzionali assicuravano la coesione interna dell’Ordine nel momento in cui si diffondeva oltre i confini della Borgogna. Le congregazioni nascenti di Grandmont, Savigny, la Grande Certosa e quelle di molte altre riforme simili erano in piena fioritura, sebbene con strutture potenzialmente più povere di quelle di Cîteaux. Il sorprendente evento che l’Ordine di Cîteaux in un certo senso esplose all’epoca e giunse a possedere circa 350 case in ogni Paese d’Europa verso la metà dei XII secolo, si spiega soltanto, comunque, grazie alla personalità dinamica e all’attività dell’uomo del secolo, San Bernardo di Clairvaux. La nozione volgarmente diffusa che ritiene San Bernardo quale vero fondatore dell’Ordine è una esagerazione perdonabile, come il fatto che per secoli i Cistercensi furono universalmente conosciuti come “Bernardini”, senza altra aggiunta.
Per Bernardo la vita monastica deve essere scandita dal lavoro, dalla contemplazione e dalla preghiera, avendo due stelle fisse: Gesù e Maria. Per l’abate cistercense Cristo è tutto: “Quando discuti o parli nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù” (Sermones in Cantica Canticorum, XV). Maria – scrive Bernardo – conduce a Gesù: “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l’esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare…” (Hom. II super «Missus est»).
Nel De diligendo Deo Bernardo indica la via dell’umiltà per raggiungere l’amore di Dio. Esorta ad amare il Signore senza misura. Per il monaco Cistercense sono 4 i gradi fondamentali dell’amore:
- L’amore di sé stessi per sé: “Prima l’uomo ama sé stesso per sé. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede”.
- L’amore di Dio per sé: “Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui. Cominciando però a frequentare Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie necessità”.
- L’amore di Dio per Dio: “L’anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado”.
- L’amore di sé per Dio: “Quello cioè in cui l’uomo ama sé stesso solo per Dio. Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui”.
Tra gli scritti dell’abate Cistercense è anche celebre l’elogio dell’ordine monastico-militare dei Templari, fondato nel 1119 da alcuni cavalieri sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo. Nel De laude novae militiae ad Milites Templi, così descrive i Cavalieri: “Sono vestiti semplicemente e coperti di polvere, la faccia bruciata dal sole, lo sguardo orgoglioso e duro: prima della battaglia si armano interiormente con la forza della fede. La loro unica fede è rivolta a Dio”.
Ci sono quelli che cercano la conoscenza per ragioni di conoscenza; che è curiosità.
Ci sono quelli che cercano la conoscenza per essere conosciuto da altri; che è vanità.
Ci sono quelli che cercano la conoscenza al fine di servire; questo è amore”
(San Bernardo di Clairvaux).
L’Abbazia di Casamari
La fondazione dell’abbazia di Casamari, nel comune di Veroli, provincia di Frosinone nel basso Lazio, risale alla prima metà dell’XI secolo quando alcuni seguaci del Benedettino Domenico da Foligno – che negli stessi anni aveva lasciato il cenobio cassinese e organizzato alcuni monasteri a Sora e nei dintorni – con l’intento di costruire una comunità monastica benedettina, avviarono intorno al 1036 la costruzione di un monastero sulle fondamenta di un tempio pagano, dedicato a Marte, nel territorio dell’antico insediamento romano di Cereatae Marianae nei pressi di Arpino patria del console romano Caio Mario cui si riporta la denominazione di Casamari, Casa di Mario.
La comunità di Casamari si caratterizza sin dagli esordi come un vivace centro spirituale e culturale. Sotto l’Abbate Agostino I (1090 circa) l’autorità del monastero si estende sul circondario. Circa un secolo più tardi, su impulso di Papa Eugenio III, il cenobio di Casamari abbraccia la riforma Cistercense. Nel periodo compreso tra il 1143 e il 1152, la riforma intende riportare alla stretta osservanza della Regola di San Benedetto una realtà in piena decadenza economica e spirituale.
L’abazia di Casamari rifiorisce grazie al lavoro dei monaci Cistercensi, impegnati nella liturgia, nel lavoro manuale, nell’attività di trascrizione e studio dei codici. La biblioteca abbaziale include codici di carattere liturgico, esegetico, patristico e opere di autori classici. La mobilità dei monaci Cistercensi consente una circolazione di libri, pratiche, idee: intorno al 1180, l’abbazia di Casamari ospita il confratello Gioacchino da Fiore.
A cavallo tra il XII e il XIII secolo, l’Abate Giraldo promuove il rinnovamento architettonico del monastero e l’espansione dell’Ordine Cistercense nell’Italia centro-meridionale, dove le filiazioni di Casamari comprenderanno comunità in Toscana, Calabria, Basilicata, Sicilia. Nel XIII secolo, l’abbazia prospera sotto la protezione di Federico II, e di Papa Innocenzo III e Papa Onorio III, che inaugura nel 1217 la chiesa dell’attuale complesso abbaziale, che rappresenta uno dei più straordinari esempi di architettura gotico-cistercense dell’Italia meridionale, edificato in un arco relativamente breve di tempo.
Dopo il periodo di splendore, Casamari si avviò ad un lento declino. La vitalità spirituale, economica e culturale dell’abbazia di Casamari si spegne progressivamente a partire dall’inizio del XV secolo. Nel 1430, Papa Martino V affida il monastero ad un cardinale commendatario. Per quasi due secoli, la comunità sarà affidata ad un abate non residente, raramente interessato alle sorti della vita del monastero. Il grande complesso abbaziale di Casamari si spopola: all’inizio del Seicento ospita solo otto monaci. A stimolarne la rinascita non è l’annessione alla congregazione Cistercense romana promossa nel 1623 da Papa Gregorio XV ma, nel 1717, l’arrivo dei monaci Cistercensi riformati, detti Trappisti, provenienti dalla badia toscana del Buonsollazzo, i quali ridiedero impulso alla vitalità spirituale, culturale e materiale del monastero.
In età napoleonica e nel corso dell’800, Casamari subì invasioni, saccheggi, incendi e spargimenti di sangue.
Dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, si applica alle case degli ordini religiosi nei territori dello Stato Pontificio la legge sulle Corporazioni religiose e sull’asse ecclesiastico: tutti i loro beni sono ceduti allo Stato. Spogliata dei suoi beni nel 1873 in seguito alle leggi di soppressione, l’abbazia di Casamari, nell’anno successivo, fu dichiarata monumento nazionale. La tutela speciale riservata ai “monumenti nazionali” di Montecassino e Cava dei Tirreni, di San Martino della Scala, di Monreale e della Certosa di Pavia viene estesa alle abbazie di Casamari e Grottaferrata (abbazia di San Nilo).
La comunità monastica di Casamari rifiorisce sia dal punto di vista spirituale sia dal punto di vista economico. Nel 1929 Casamari, insieme ai monasteri da essa fondati, è stata eretta in Congregazione monastica autonoma, aggregata all’Ordine Cistercense.
Trasformata in ospedale da campo dai Tedeschi durante la Secondo Guerra Mondiale, non subisce danni e prosegue la sua attività nel dopoguerra. Negli anni che seguono, all’abbazia Cistercense di Casamari vengono aggregati alcuni monasteri del territorio – come quelli di Domenico di Sora, di Valvisciolo, di Chiaravalle della Colomba, la Certosa di Trisulti –, in Italia e nel resto del mondo, come quelli di Santa Maria di Chiaravalle in Brasile, di Santa Maria di Mendita in Etiopia, di Nostra Signora di Fatima negli Stati Uniti.
Nel giugno del 1957 Papa Pio XII ha elevato la chiesa abbaziale alla dignità di basilica minore.
Il legame tra l’Ordine Costantiniano
e l’Abbazia di Casamari
Nell’abbazia di Casamari vive attualmente una comunità di ventidue monaci cistercensi. I monasteri dipendenti sono certosa di Pavia, abbazia di Valvisciolo, monastero di San Domenico in Sora, monastero di Santa Maria di Cotrino a Latiano (Brindisi) e monastero di Santa Maria della Consolazione a Martano (Lecce). Nella Congregazione ci sono tre monasteri conventuali: abbazia di Nostra Signora dell’Assunta in Asmara (Eritrea) con 2 monasteri dipendenti; monastero di Santa Maria di Piona (Lecco) con un monastero dipendente (Chiaravalle della Colomba – Piacenza); e monastero di Nostra Signora di Claraval in Brasile.
Nel 2012 fu creata nell’ambito della Delegazione della Tuscia e Sabina una Rappresentanza Costantiniana presso l’abbazia di Casamari, a motivo dell’interessamento del profondo conoscitore della Storia e delle Istituzioni dell’Ordine Costantiniano, Padre Pierdomenico Volpi, S.O.Cist., Cappellano di Merito, Postulatore generale per le cause dei santi dell’Ordine Cistercense-Casamari.
Tenuto altresì conto dei legami storici tra l’abbazia di Casamari ed il monastero della Visitazione, detto della Duchessa, in Viterbo, pure appartenente al Sacro Ordine Cistercense, il Delegato Nob. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, con l’assenso del Presidente della Real Commissione per l’Italia, il compianto Duca Don Diego de Vargas Machuca, ha provveduto in questi anni a far nominare 35 Cavalieri e Dame, molto attivi in campo religioso, caritativo e culturale.
Interessante notare come a cura dei Padri Cistercensi ogni anno vengono celebrate due solenni Sante Messe in memoriam delle L.L. M.M. Re Ferdinando II e Francesco II, Sovrani delle Due Sicilie e Gran Maestri della Sacra Milizia.
I Martiri di Casamari
La Delegazione della Tuscia e Sabina partecipò sabato 17 aprile 2021 alla Santa Messa di beatificazione dei 6 monaci martiri di Casamari, presieduta dal Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi [QUI].
Nella primavera del 1799 i rivoluzionari francesi, che avevano instaurato in Napoli la Repubblica Partenopea, furono costretti dall’esercito borbonico riorganizzato dal Cardinale Fabrizio Ruffo e dalla presenza della flotta inglese ancorata presso le isole di Ischia e di Procida, a prendere la via del ritorno, risalendo la penisola per la litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.
Un distaccamento dell’esercito, però, calcolato dalle cronache del tempo sulle tredici – quindici mila unità, agli ordini dei Generali Vetrin e Olivier, si diresse verso l’interno. Esso giunse, il 10 maggio 1799, a Cassino quando gli abitanti avevano abbandonato la città e si erano rifugiati sui monti. Anche i monaci dell’Abbazia di Montecassino erano fuggiti a Terelle recando alla sicuro le cose più preziose; i pochi monaci rimasti dovettero assistere con raccapriccio, e non senza pericolo di morte, alla devastazione, al saccheggio ed alla profanazione, perpetrati, tra canti osceni e parodia di sacre liturgie, dai 1500 soldati della colonna del Generale Olivier che erano saliti all’archicenobio.
L’11 maggio 1799, il passaggio dei soldati in ritirata è documentato in Aquino: “Oggi, 11 di maggio, sono passati qui i Francesi inseguiti dalle truppe regie e in questa chiesa non hanno lasciato neanche un candeliere” – e in Roccasecca, dove sei persone “chiusero i loro giorni per l’aggressione francese”.
Dopo essere giunti ad Arce e averla saccheggiata, le truppe, anziché deviare per Ceprano, si diressero per Isola Liri e ne fecero una città martire. Forzato lo sbarramento e rotta la resistenza i Francesi penetrarono nella cittadina seminando violenza lutto e sangue, non risparmiando le molte persone che si erano rifugiate, come ultima speranza, nella chiesa di San Lorenzo. Il Canonico-Vicario Giuseppe Nicolucci ci ha lasciato nei libri dei defunti una agghiacciante testimonianza: “Memorando né mai dimenticabile il giorno che fu di Pentecoste, 12 maggio 1799, che il gallico furore che noi e tutte le nostre case rovinò e travolse nell’ultimo eccidio – Nulla che il nemico ferro non avesse devastato e mietuto – Non gregge non armento sicuro alla campagna, nei presepi e negli ovili – Non uomo che scappasse da morte; non donna, ancorché fanciulla, risparmiata dalla militare licenza brutale. Né altari, né cose sacre le scellerati mani rispettarono – Chi voglia più saperne legga la triste memoria scritta a pagina … (si guardi l’elenco dei morti) di questo libro ed apprenderà perché registri 500 e più nomi di trapassati nel solo e medesimo giorno 12 maggio 1799”.
Dopo l’eccidio nella cittadina di Isola, mentre la truppa riprendeva la ritirata verso il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, – “venti leopardi”, secondo la descrizione di un teste oculare – il 13 maggio irruppe all’interno dell’abbazia di Casamari, alle otto di sera, quando la comunità si accingeva al canto della “compieta”, prima del grande silenzio che ovatta di notte un monastero benedettino. Fu una notte di spavento, di dispersione, di sangue, di morte di martirio.
Mentre gli altri monaci, come uno stormo di miti colombe spaventate, cercavano all’impazzata scampo per ogni dove, sei di essi impavidamente restarono ed eroicamente testimoniarono la loro fede nell’eucarestia, rimanendo uccisi nell’atto di sottrarre le sacre pissiddi o di riparare alla profanazione delle particole consacrate. Essi sono: il Priore P. Simeone Cardon, P. Domenico Zawrel, Fra Maturino Pitri, Fra Albertino Maisonade, Fra Modesto Burgen, Fra Zosimo Brambat.
Sulla testimonianza di sangue dei martiri, associati alla passione di Cristo, poggia la solidità della Chiesa; essi non saranno mai dimenticati perché “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavate le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).
Foto di copertina: San Bernardo di Clairvaux in abito cistercense con un diavolo incatenato dietro di lui, da un Libro d’Ore, scuola fiamminga, probabilmente Brugge, 1500-05 circa.