Il Mercoledì delle Ceneri 5 marzo 2025, alle ore 21.00 presso la basilica cattedrale di San Lorenzo, il Vescovo di Viterbo, Mons. Orazio Francesco Piazza, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica, concelebranti il Vescovo emerito di Viterbo, Mons. Lino Fumagalli, Cappellano Gran Croce di Merito Costantiniano, e tutti i Parroci della Città. Durante la solenne celebrazione, Mons. Piazza ha benedetto e imposto le Sacre Ceneri, ricordando il tempo di rinnovamento interiore che per ogni Cristiano deve partire da una vita di preghiera e di carità in questo periodo di grazia che ci prepara alla Resurrezione di Gesù.

Hanno partecipato delle rappresentanze degli Ordini Equestri. Oltre ad una rappresentanza della Delegazione di Viterbo-Rieti del Sovrano Militare Ordine di Malta, guidata dal Delegato, il Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce di Grazia Magistrale, ed una rappresentanza della Delegazione di Viterbo dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ha partecipato una rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano; guidata dal Col. Dott. Francesco Genna, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento.









In questo tempo di Quaresima, sono diverse le iniziative promosse dalla Diocesi di Viterbo, con i Parroci impegnati nell’apostolato.
Prima fra tutte, la Lettera per la Quaresima alla comunità diocesana per il cammino quaresimale nel contesto dell’Anno Santo 2025, inviata da Mons. Orazio Francesco Piazza a tutte le Parrocchie. Un testo del Vescovo di Viterbo – di cui riportiamo di seguito il testo integrale – che invita tutti a camminare insieme come comunità diocesana animata da speranza e fiducia.
Venerdì 16 febbraio 2025 alle ore alle ore 21.00 nella chiesa di Villanova a Viterbo si svolgerà l’incontro dei giovani in preparazione alla Pasqua, promosso dal Servizio diocesano di pastorale giovanile.
Ogni martedì di quaresima alle ore 18.30 a partire da Viterbo presso la basilica della Madonna della Quercia e poi ogni martedì nelle altre foranie della Diocesi, il Vescovo Piazza terrà le catechesi quaresimali.

Infine, la significativa proposta della Tenda del Giubileo insieme per una esperienza di umanità, iniziativa quaresimale promossa dalla Diocesi di Viterbo in collaborazione con i movimenti ecclesiali e il Coordinamento delle Confraternite diocesane, che si svolgerà a Viterbo per tutto il tempo quaresimale nella chiesa dei Santi Faustino e Giovita, con ogni giorno dal 10 marzo all’11 aprile 2025 momenti di spiritualità che iniziano la mattina con la Santa Messa e l’Adorazione Eucaristica durante la giornata, per terminare in serata con iniziative proposte dai movimenti dei laici, con percorsi letterari, biblico e artistico e tante altre iniziative spirituali, culturali e musicali. Lunedì 10 marzo 2025 la cerimonia di apertura alla presenza di Mons. Piazza. Venerdì 11 aprile 2025 il pellegrinaggio di chiusura dalla chiesa dei Santi Faustino e Giovita alla chiesa giubilare della Santissima Trinità-Santuario cittadino di Santa Maria Liberatrice con la Celebrazione Eucaristica presieduta da Mons. Piazza.
La Lettera del Vescovo di Viterbo
alla comunità diocesana per
il cammino quaresimale
nel contesto dell’Anno Santo 2025
Un cammino di speranza e comunione. È l’invito del Vescovo di Viterbo, Mons. Orazio Francesco Piazza che, con l’inizio della Quaresima, ha rivolto un’accorata Lettera alle comunità della diocesi, sottolineando l’importanza di questo periodo nel contesto dell’Anno Giubilare 2025. Il suo messaggio è un invito a vivere la Quaresima come un cammino condiviso, nella consapevolezza che la speranza Cristiana illumina il percorso della vita e rafforza la comunione ecclesiale. Mons. Piazza esorta a riscoprire la bellezza della sinodalità (il “camminare insieme”) e a lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, dalla penitenza e dalla carità per rigenerare il cuore e le relazioni. Attraverso i sacramenti e le opere di misericordia, ogni credente è chiamato a farsi pellegrino di speranza, resistendo alla tentazione dell’isolamento e aprendosi all’incontro con l’altro, sottolinea il Vescovo di Viterbo.
Approfondimento

Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità Cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle teste, al quale i fedeli si sottomettano umilmente in risposta alla parola di Dio.
.L’imposizione della cenere sul capo ricordava anche in antichità l’ingresso nello stato di penitenti. La cenere serviva anche alle lavandaie per sbiancare i panni. La cenere, allora, che riceveranno sul capo tutti i cristiani nel giorno di inizio della quaresima, vuole essere l’impegno di ciascuno a lasciarsi rinnovare dalla forza dello Spirito di Dio.
Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il Cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il Mercoledì delle Ceneri, così come il resto del Tempo di Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta alla Pasqua, all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo.

Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del Cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.
Memento, homo,
quia pulvis es,
et in pulverem reverteris
La locuzione Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris tradotta letteralmente significa: Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai. Le parole quia pulvis es et in pulverem reverteris compaiono nella Vulgata (Gen 3,19) allorché Dio, dopo il peccato originale, scaccia Adamo dal giardino dell’Eden condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte: «Con il sudore della fronte mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!»

L’Oratorio dei Disciplini di Clusone, in val Seriana, provincia di Bergamo, è un edificio di origine medievale, posto di fronte alla basilica di Santa Maria Assunta, voluto dalla Confraternita dei Disciplini come sede del proprio ordine.
L’edificio, dalla struttura semplice, possiede un ciclo di affreschi di grande valore, del 1485, dipinti dal pittore clusonese Giacomo Borlone de Buschis: all’esterno.
Sulla parete di facciata, sono dipinti i seguenti soggetti, su vari registri. In alto il Trionfo della morte: la Morte viene vista come una grande regina che sottomette tutti a sé; è rappresentata come uno scheletro trionfante avvolta in un mantello e con una corona sul capo. Essa sventola dei cartigli; sotto il cartiglio a destra vi è un gruppo di persone che la implorano offrendole ricchezza; sul drappo però, la Morte afferma che nessun uomo è così forte da poterle scappare. Nel cartiglio a sinistra, ella dice di essere regina e di non volere le ricchezze che le vengono offerte, perché vuole solo la vita di coloro che la implorano, essendo Signora di ogni persona. Sotto i suoi piedi, in un sepolcro di marmo, giacciono i corpi del Papa e dell’Imperatore, circondati da serpenti, rospi e scorpioni, emblemi di superbia e morte improvvisa. Questo sta a simboleggiare la potenza della morte, che non risparmia nessuno. Infatti, accanto al sepolcro, vi sono persone ricche e potenti che le offrono oro in cambio della loro salvezza; tra questi soggetti si possono riconoscere un cardinale, un vescovo, un re ed un filosofo. La grande Regina, in ogni caso, colpisce in modo spietato, aiutata da altri scheletri. Questi aiutanti che stanno al suo fianco hanno il compito di uccidere. Quello che si trova a destra della Morte tiene in mano una specie di archibugio e colpisce senza pietà un gruppo di persone imploranti; sopra di esse vi è un altro cartiglio che dice che la morte colpisce in modo doloroso soltanto chi offende Dio mentre porta ad una vita migliore chi pratica la giustizia. A sinistra, nello stesso registro, inserito nella rappresentazione del Trionfo della Morte, l’incontro dei tre morti e dei tre vivi. Nel registro mediano la danza macabra. Gli scheletri, allegoria della morte, danzano con diversi personaggi di rango inferiore rispetto alle vittime della Morte nel trionfo del registro superiore: vi sono rappresentati una donna con uno specchio, simbolo della vanità; un membro della confraternita dei disciplini, con l’abito della regola e il flagello; un contadino; un oste; un soldato; un mercante, con la sacca dei soldi; un uomo di lettere; un magistrato. Questi, ciascuno in coppia con uno scheletro, si avviano verso un macabro ballo. Nel registro inferiore ora molto danneggiati erano anche una rappresentazione dei novissimi e del Giudizio universale. Diverse iscrizioni e cartigli ornano l’affresco: “Gionto per nome chiamata Morte ferischo a chi tocharà la sorte; non è homo così forte che da mì non po’ schapare” iscrizione contenuta nel cartiglio che la Morte regge nella mano destra. “Gionto la Morte piena de equalenza solo voi voglio e vostra richeza e digna sono da portar corona perché signorezi ognia persona” recita il cartiglio sorretto dalla mano sinistra della Morte. “Ognia omo more e questo mondo lassa – chi ofende a Dio amaramente passa” cartiglio a sinistra nel Trionfo della Morte. “O ti serve a Dio del bon core non avire pagura a questo ballo venire. Ma alegremente vene e non temire” “… Amamus crucem omnes diligamus Deo devote serviamus cum omne reverentia ” (divide la danza macabra dal registro inferiore).
Il Padre tuo
che vede nel segreto
ti ricompenserà
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”» (Mt 6,1-6.16-18).
Le leggi del digiuno
dell’astinenza dalla carne
e della carità
La legge del digiuno
Consiste nel fare un solo pasto al giorno e due piccole refezioni nel corso della giornata. Obbliga tutti i fedeli che hanno compiuto i 21 anni e non hanno ancora iniziato i 60 anni. Possono non praticare il digiuno: coloro che digiunerebbero con grave incomodo (ammalati, convalescenti, deboli di nervi, donne che allattano o incinte); poveri che hanno già poco cibo a disposizione; coloro che esercitano un lavoro che è moralmente e ordinariamente incompatibile con il digiuno (es: lavori pesanti); coloro che fanno un lavoro intellettuale molto faticoso (es. studenti sotto esami); chi deve fare un lungo e faticoso viaggio, per un maggiore bene o per un’opera di pietà più grande se questa è moralmente incompatibile con il digiuno (per esempio assistenza ai malati).
La legge dell’astinenza dalla carne
Vieta l’uso della carne, di estratto o brodo di carne, ma non quello delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento di grasso animale. Obbliga tutti i fedeli a partire dai 7 anni compiuti. Posso non praticare l’astinenza dalla carne: i poveri che ricevono carne in elemosina e non hanno altro da mangiare; gli infermi, i convalescenti, i deboli di stomaco, le donne che allattano, le donne incinte se deboli; gli operai che fanno lavori più pesanti quotidianamente; mogli, figli, servi, tutti coloro che esercitano un servizio essendovi costretti, e che non possono avere altro cibo sufficientemente nutriente.
La legge della carità
La carità è la nuova legge dell’amore che diventa la strada per realizzare tutte le virtù, tra le quali anche quella della giustizia. Nella concezione Cristiana il diritto si associa alla carità per meglio raggiungere le sue finalità giuridiche poiché «come dice l’Apostolo (I Tim 1,5) fine del precetto è la carità e tutta la legge ha lo scopo di promuovere l’amicizia degli uomini tra loro, o dell’uomo con Dio» (San Tommaso, Sum. Theol., I-II, q. 99, a. 1 ad 2).
Solo in Cristo la solidarietà umana, fondata sulla natura, è stata elevata al rango di fraternità divina, di charitas Cristiana. Le virtù naturali, tra cui la giustizia, sono al servizio della carità che diventa la linea guida per la loro piena attuazione, come Cristo nei confronti della legge quando dice: “Non crediate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Per questo, dirà San Paolo, “l’amore è pieno compimento della legge” (Rm 13,10). Il termine compimento evidenzia il suo significato di pienezza nel vocabolo pléroma. Lo stesso termine è usato da Gesù quando dice: «Io non sono venuto per abolire la legge, ma per portarla a compimento, pleróstai».
Prima opera di carità è imparare a soddisfare gli obblighi naturali di giustizia per poter poi penetrare nella vita del fratello e amarlo come si ama se stessi, pienezza della legge è l’amore. Illuminante a tale riguardo è il pensiero del Concilio Vaticano II: “Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni sospetto e manifestarsi tale, si consideri nel prossimo l’immagine di Dio secondo cui è stato creato, e Cristo Signore, al quale veramente è donato quanto si dà al bisognoso; si abbia riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà e alla dignità della persona che riceve l’aiuto; la purità d’intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di dominio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è dovuto a titolo di giustizia; si eliminino gli effetti, ma anche le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in tal modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza esterna e diventino autosufficienti” (AA, 8, 5).
L’elemosina è il nobile gesto della carità quando risponde al grido di giustizia sociale che sale dal povero, dall’emarginato, dal reietto. Solo chi si immedesima nel bisognoso è capace di adempiere al precetto di amare il prossimo come sé stesso. Per questo l’elemosina suscitata dalla carità Cristiana non è un semplice passaggio di beni da una mano all’altra, bensì una condivisione di vita, un gesto di comunione. Non ciò che avanza sia oggetto di elemosina, ma ciò che è dentro quella coppa e quel piatto che i farisei puliscono all’esterno, frutto di rapina e iniquità, convinti di essere giusti perché pagano puntualmente la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, ma poi trasgrediscono la giustizia e l’amore di Dio. Perché anche l’interno sia mondo, il Signore dice di dare in elemosina non il superfluo, ma ciò che vi è dentro (Lc 11, 41). Per questo la carità non solo presuppone la giustizia, ma anche la integra nel valutare quanto offrire al prossimo per amore di Dio, commisurato sul bisogno altrui e non sul “mio superfluo”.
La carità costruisce una più perfetta giustizia. La carità non supplisce gli obblighi di giustizia, bensì mi sprona a riconoscere e ad affermare il diritto altrui anche a costo di dover rinunciare volontariamente al mio diritto; nel portare i pesi degli altri per ritrovare nelle mani del fratello l’aiuto a sostenere anche il peso che mi appartiene.

Il passaggio tra il Carnevale e la Quaresima, ora molto poco sentito dalla società secolarizzata, era invece intensissimo nella civiltà medievale e post medievale. Fu magistralmente interpretato da Pieter Brueghel il Vecchio in questo suo dipinto. Ogni personaggio della folla, intento nelle attività del periodo in cui si trova, è spesso anche un simbolo con un preciso significato.
La brulicante veduta della piazza di un paese mette in scena un combattimento simbolico tra il Carnevale (metà sinistra) e la Quaresima (metà destra). Il primo è rappresentato come un uomo grasso a cavallo di un barile e circondato da succulente pietanze, mentre la seconda è una donna smunta e pallida, che ha come “lancia” una pala con appena due aringhe, a fronte dello spiedo con polli infilzati del rivale. Il Carnevale è spinto da due uomini in maschera, mentre la Quaresima è trainata da un frate e una monaca.
I personaggi a sinistra sono intenti al mangiare, al bere e alla rappresentazione di scene teatrali burlesche, tipiche del festoso periodo carnevalesco, mentre a destra sono inscenati sacrifici e sofferenze. Anche l’architettura entra in gioco per identificare i due gruppi: a sinistra si vede infatti un’osteria, mentre a destra è rappresentata una chiesa.
Al centro del dipinto si vede una coppia di spalle guidata da un buffone: la donna ha una lanterna spenta legata in vita, che allude forse all’avanzare al buio dei due credi religiosi dell’epoca, il Cattolicesimo simboleggiato dalla Quaresima e il Luteranesimo simboleggiato dal Carnevale. Si tratta però di una rappresentazione che non prende posizione, nel clima chiassoso e sarcastico generale. Entrambi i carri sono infatti guidati da follie e vizio e solo i poverissimi mendicanti, sparsi qua e là con la loro misera condizione rappresentata con realismo, appaiono come figure reali, nell’indifferenza generale. Fa eccezione solo la madre in basso a destra, che riceve un’elemosina da un uomo appena uscito dalla chiesa. Quest’ultimo però, per quanto colto in un atto caritatevole, veste panni rossi e azzurri, che simboleggiano il peccato e l’inganno, a ricordare come il suo atto generoso sia solo un modo ipocrita per considerare la propria anima lavata.
Sul lato opposto va invece in scena una celebre farsa, tipica del periodo carnevalesco, la Sposa sudicia, ovvero un matrimonio zingaresco, e poco dietro è rievocato in maniera burlesca l’episodio di Ursone e Valentino, dal ciclo carolingio.
La Quaresima è il tempo del deserto
La Quaresima è un tempo forte, un tempo di combattimento spirituale, di purificazione, di discernimento. Ma soprattutto è il tempo in cui Dio ci conduce nel deserto, un luogo fondamentale nella storia della salvezza, per parlare al nostro cuore.
«Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo» (Mt 4,1). Gesù è portato nel deserto non da Satana, ma dallo Spirito Santo. Non è un caso: è Dio stesso che Lo conduce. Questo è fondamentale. Nel deserto, il diavolo presenta a Gesù le stesse tentazioni che presenta a noi ogni giorno:
La tentazione della fame, del bisogno immediato (Mt 4,3-4). Cosa ci nutre veramente? Il denaro? Il successo? O la Parola di Dio?
Il diavolo vuole che Gesù metta alla prova Dio (Mt 4,6-7). Quante volte pensiamo: “Se Dio mi ama, perché soffro? Perché non interviene?” La fede non è basata sui miracoli, ma sulla fiducia.
Satana offre potere, gloria, ricchezze. Vuole che Gesù scelga la via facile (Mt 4,9-10). Chi adoriamo? Dio o il mondo? Il successo, il denaro, la nostra immagine?
Anche noi, nella nostra vita sperimentiamo momenti di deserto, di solitudine, di prova. A volte ci ribelliamo, pensiamo che Dio ci abbia abbandonato. Ma la verità è che è proprio Dio a condurci lì, perché nel deserto ci vuole purificare, ci vuole far crescere. Quanti di noi sono in un deserto oggi? Quanti stanno vivendo prove difficili? Forse nella famiglia, nel lavoro, nella salute. Dio non ci ha abbandonato. Siamo nel deserto perché Dio vuole farci vedere ciò che abbiamo nel cuore, vuole insegnarci a fidarci di Lui.
Il deserto non è la fine, è il passaggio necessario per incontrare Dio. Quando siamo spogliati di tutto, quando non possiamo più appoggiarci sulle nostre sicurezze, è lì che possiamo finalmente dire: “Signore, mi affido a Te”. “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Dio ci porta nel deserto non per distruggerci, ma per parlarci, per purificarci, per rivelarci il suo amore. Dopo il deserto, Gesù inizia la sua missione. Il deserto lo ha preparato. Anche per noi è così: se siamo fedeli nella prova, Dio ci darà una missione, ci darà una nuova vita! “Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa (Is 43,19). Il deserto non è la fine! Dio sta facendo qualcosa di nuovo nella nostra vita.
La Quaresima è un tempo di deserto, da accettare e da vivere con fede, non cercando di fuggire o di ribellarsi. Dio ci sta purificando, ci sta parlando. “Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11). Se oggi siamo nel deserto, è perché Dio ci sta preparando per qualcosa di grande.
Questa riflessione è estratta dal testo “Esercizi Spirituali Quaresima. Prima meditazione: Il deserto” di Investigatore Biblico. I testi integrali possono essere consultati [QUI].
Lo spirito di Quaresima
negli anni del Giubileo
La maggior parte delle persone ignora o ha dimenticato che cosa è la Quaresima. Eppure il Catechismo Maggiore di San Pio X era molto chiaro, definendola “un tempo di digiuno e di penitenza istituito dalla Chiesa per tradizione apostolica”. Nel paragrafo successivo San Pio X ne spiegava le finalità: “Per farci conoscere l’obbligo che abbiamo di far penitenza in tutto il tempo della nostra vita; per imitare in qualche maniera il rigoroso digiuno di quaranta giorni, che Gesù Cristo fece nel deserto; per prepararci col mezzo della penitenza a celebrare santamente la Pasqua” (N. 36).
Spesso però per i buoni Cattolici che non dimenticano la Quaresima, questa si riduce ad alcune pratiche ascetiche: digiuno, mortificazioni, elemosina, certamente lodevoli e da sempre raccomandate dalla Chiesa, ma non sufficienti a trasmetterci lo spirito della Quaresima, che è innanzitutto quello di distaccarci più profondamente dal peccato e abbracciare con maggior generosità la volontà di Dio.
Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima del 2009, ricorda che nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all’uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire” (Gn 2,16-17). Questa ingiunzione data da Dio ad Adamo è il primo precetto di astinenza dal cibo che l’uomo riceve. Commentando l’ingiunzione divina, San Basilio scrive che “il ‘non devi mangiare’ è, dunque, la legge del digiuno e dell’astinenza” (Sermo de dejunio: PG 31, 163, 98). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore “di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male“, con il digiuno – osserva ancora Benedetto XVI – il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia” (Messaggio dell’11 dicembre 2008).
Lo spirito di penitenza si manifesta, prima di ogni altra pratica, nello sforzo di uniformarsi alla volontà di Dio in ogni momento, anche doloroso e umiliante della nostra vita. Il 26 marzo 1950, in occasione della Quaresima del Grande Anno Santo, Pio XII, così si rivolgeva ai fedeli: “Saper sopportare la vita! È la prima penitenza di ogni cristiano, la prima condizione e il primo mezzo di santità e di santificazione. Con quella rassegnazione docile che è propria di chi crede in un Dio giusto e buono, ed in Gesù Cristo maestro e guida dei cuori, abbracciate con coraggio la spesso dura croce quotidiana. A portarla con Gesù il suo peso diventa lieve”.
Lo sforzo di unire la nostra volontà con la volontà di Dio precede ogni pratica ascetica. Per questo Gesù mette in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l’atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni rituali imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, spiega il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale “vede nel segreto, e ti ricompenserà” (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l’esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). “Il vero digiuno – conclude Benedetto XVI – è dunque finalizzato a mangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre” (Cfr. Gv 4,34).
Chi ama la volontà del Padre detesta il peccato, che è la violazione della legge divina. E allora, in questo tempo di Quaresima del Giubileo del 2025, come non fare proprie le parole che Pio XII rivolgeva ai fedeli di tutto il mondo per prepararli alla Quaresima nel Giubileo del 1950:
“Misurate, se vi regge l’occhio e lo spirito, con l’umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo. Opera propria dell’uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l’opera di Dio. Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro se stessi, nell’anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società. Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d’iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni. Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l’uomo è stato creato, con gl’ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.
Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l’ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinché si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità. Con tutto l’ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo”.
Questa riflessione del Prof. Roberto de Mattei è tratta dalla rubrica Analisi e Commenti che cura su Radioromalibera.org [QUI].