Santa Messa in suffragio del Romano Pontefice Francesco della Delegazione Piemonte e Valle d’Aosta a Torino

Domenica 4 maggio 2025 alle ore 11.00, una rappresentanza della Delegazione di Piemonte e Valle d’Aosta del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Delegato Don Andrea dei Marchesi Serlupi Crescenzi, Cavaliere di Giustizia, ha onorato la memoria del Romano Pontefice Francesco, morto il 21 aprile, Lunedì dell’Angelo, secondo giorno dell’Ottava di Pasqua. I Confratelli Costantiniani hanno partecipato presso la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate in Torino alla celebrazione della Santa Messa in suffragio della sua anima, preceduta da un momento formativo sulla Comunione Eucaristica. Per una felice coincidenza, a pochi giorni dall’apertura del Conclave, che ha il dovere di eleggere il successore di Pietro, nella III Domenica di Pasqua viene proclamata il brano del Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,1-19 - Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce) in cui il Signore Risorto, apparso agli Apostoli sulle rive del Lago di Tiberiade, affida a Pietro il compito di guidare la Sua Chiesa.
Foto di gruppo

La Santa Messa

La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dal Cappellano di Delegazione, Don Damiano Cavallaro, Cappellano di Merito, concelebrante Don Salvatore Vitiello, docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Nella sua omelia, Don Salvatore Vitiello ha aiutato a scoprire e gustare la profondità e ricchezza delle immagini descritte dall’evangelista Giovanni, che i fedeli sono invitate a vivere in questi giorni così importanti per la vita della Chiesa.

La prima immagine che viene descritta è quella di Cristo che, come un fratello maggiore, prepara del pesce arrostito al fuoco, mente gli apostoli non riescono a pescare nulla tutta la notte. Senza Gesù anche noi, come loro, resteremmo con le reti vuote. Infatti, sulla sua parola essi gettarono nuovamente le reti ed ecco che “non riuscivano più a tirarle su per la grande quantità di pesci” (Gv 21,6). È allora che Giovanni riconosce per primo il Maestro: “È il Signore!” Il più giovane tra gli Apostoli, mosso dallo Spirito, indica agli altri la presenza di Gesù. Così come avviene in ogni famiglia, in ogni comunità, nella quale qualcuno ha ricevuto il carisma di saperne riconoscere la presenza ed indicarla agli altri. Se il compito di Giovanni è stato quello di riconoscere il Risorto ed indicarlo ai fratelli, quello di Pietro è di gettarsi nelle acque del mondo per andargli incontro, con la sua irruenza e con lo slancio che proviene da un cuore che ama: “Appena udì che era il Signore si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare” (Gv 21,7).

Sembra difficile da comprendere il motivo per il quale Gesù chiede agli Apostoli di portare alcuni dei pesci che avevano appena pescato, benché ne avesse già preparato per loro sulla brace, insieme a del pane. Questa richiesta, ha spiegato Don Cavallaro, racchiude in sé la “logica” di Dio: nell’assoluto rispetto della libertà dell’uomo, Egli chiede a quest’ultimo di cooperare con Lui, di aderire al suo disegno. È l’immagine della Grazia di Dio che cerca l’opera dell’uomo e le va incontro. Grazia, libertà, amore, permeano il racconto di Giovanni.

La seconda immagine che l’evangelista presenta, riporta un dialogo tra il Maestro e Pietro, nel quale il Signore per ben tre volte gli chiede: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?” Tre come le volte in cui l’Apostolo rinnegò Gesù la notte del suo arresto, come a voler rimediare e “compensare” a quell’infedeltà. Giovanni precisa come Pietro rimase addolorato che per la terza volta il Signore gli domandasse “mi vuoi bene?”. Ecco che nella risposta emerge la consapevolezza di quanto l’amore per Gesù non si fondi sulle sole forze umane, ma sulla sua Grazia: “Signore tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Se, in risposta all’amore di Pietro, Cristo gli affida il compito di guidare la sua Chiesa (“pasci le mie pecore”), ecco che, allo stesso modo, ai suoi successori è chiesto di amare di Gesù ed unire i fratelli. Questo, conclude Don Cavallaro, è il compito del Romano Pontefice e per questo ogni Cristiano è chiamato a pregare.

In queste ultime settimane siamo travolti da una sovrabbondanza di informazioni e parole da parte dei media, che guardano alla sola dimensione orizzontale Chiesa, senza considerare che essa è quel corpo mistico di cui Cristo è il capo. Cristo Risorto, che la Chiesa, fondata sugli Apostoli, ha il compito di annunciare gridando come Giovanni: “È il Signore!”

L’incontro formativo

La Celebrazione Eucaristica è stata preceduta da un momento di formazione approfondito nel cammino di preparazione dei Cavalieri, Dame e Postulanti sulla natura e ricchezza della Divina Liturgia, “fonte e culmine della vita della Chiesa” (cfr. Sacrosanctum Concilium). Don Damiano Cavallaro ha proseguito il ciclo di Catechesi Liturgica, questa volta focalizzando l’attenzione sulla Comunione Eucaristica, atto preziosissimo che può essere intimamente offerto da tutti i fedeli che, in stato di Grazia, ricevono il Corpo di Cristo. In quel momento vengono raggiunti e visitati dal Signore Risorto che li attrae a sé. Esattamente al contrario di quanto avviene nell’alimentazione umana con la quale l’uomo (che è vivo) assimila ciò che non ha vita (il cibo): nella Comunione Gesù, realmente presente nelle specie eucaristiche e possedendo la pienezza della vita, “assimila” l’uomo, tirandolo verso il Cielo. Per questo motivo l’apostolo Paolo, sottolineando la necessità di partecipare all’Eucarestia in modo consapevole e degno, scrive: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna” (1Cor 11,29). In tal caso, infatti, restando ancorato al peccato, alla terra, mentre Cristo lo attrae al Cielo, l’uomo verrebbe come strappato interiormente.

I segni, i gesti e gli atteggiamenti hanno importanza in quanto esprimono ed allo stesso tempo corroborano la Fede. Da qui l’invito a prestare attenzione anche al modo in cui ci si dispone a ricevere l’Eucarestia. Questo diviene espressione del posto che viene dato a Cristo nella propria vita. Se, come l’apostolo Giovanni, si riconosce che Egli è il Signore e che, realmente presente nell’Eucarestia, Egli viene a chi lo riceve, allora anche l’atteggiamento nel riceverlo dovrebbe divenire autentica testimonianza.

Omelia
del Cardinale Giovanni Battista Re
Decano del Collegio Cardinalizio
Santa Messa Esequiale
per il defunto Romano Pontefice Francesco

(…) Quando il Card. Bergoglio, il 13 marzo del 2013, fu eletto dal Conclave a succedere a Papa Benedetto XVI, aveva alle spalle gli anni di vita religiosa nella Compagnia di Gesù e soprattutto era arricchito dall’esperienza di 21 anni di ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Buenos Aires, prima come Ausiliare, poi come Coadiutore e in seguito, soprattutto, come Arcivescovo.

La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo Pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi.

Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati. È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti. Inoltre è stato un Papa attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa.

Con il vocabolario che gli era caratteristico e col suo linguaggio ricco di immagini e di metafore, ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo, offrendo una risposta alla luce della fede e incoraggiando a vivere da cristiani le sfide e le contraddizioni di questi nostri anni di cambiamenti, che amava qualificare “cambiamento di epoca”.

Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa.

Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato.

Il suo carisma dell’accoglienza e dell’ascolto, unito ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi, ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali.

Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del Vangelo, che è stata il titolo della sua prima Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. Una gioia che colma di fiducia e speranza il cuore di tutti coloro che si affidano a Dio.

Filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte. Ha più volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti; una Chiesa desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite.

Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri. (…)

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