
Questo luogo, che continua a custodire il messaggio e la memoria di un frate semplice e amato, è capace di unire due città nel segno della devozione e della comunione. Il legame spirituale tra Potenza e Ravello – dove il beato trascorse gli ultimi anni e dove sono conservate le sue spoglie – si rinnova ogni anno il 4 gennaio, giorno della sua nascita. In questa ricorrenza, una delegazione della città costiera, guidata da autorità civili e religiose, si reca a Potenza per partecipare alla cerimonia dell’accensione della lampada votiva nella chiesa di Malvaccaro, rafforzando un ponte di fraternità tra le due comunità. La tradizione, ormai consolidata, è stata ulteriormente sancita nel 2013 con un gemellaggio ufficiale tra i due comuni.



Il 21 marzo 2025, Venerdì della II settimana di Quaresima, la celebrazione della Santa Messa è stata presieduta alle ore 18.30 dall’Assistente Spirituale della Sezione di Potenza Don Gerardo Lasalvia, Cappellano di Merito.
Don Gerardo Lasalvia è stato nominato Cappellano dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio per l’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo il 10 ottobre 2023 dall’allora Arcivescovo metropolita, Mons. Salvatore Ligorio, su richiesta del Delegato per le Puglie e Basilicata Avv. Dario de Letteriis, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis, MP.
Don Lasalvia ha iniziato il suo servizio come Assistente spirituale diocesano per l’Ordine Costantiniano il 3 marzo 2024, III Domenica di Quaresima, guidando un ritiro spirituale presso il convento dei Frati Cappuccini a Vietri di Potenza [QUI]. Questo evento ha segnato l’inizio delle attività della nuova Sezione di Potenza, sotto la guida del Referente Dott. Davide Dragonetti, Cavaliere di Merito.
Di seguito riportiamo un estratto dell’omelia di Don Gerardo Lasalvia, che ha portato l’attenzione alla logica di Dio nella storia di Giuseppe e di Gesù per cui la pietra scartata diviene la pietra angolare:
«Ci sono due figure centrali che la liturgia di oggi ci propone: il patriarca Giuseppe e Gesù, entrambi rifiutati, entrambi destinati – per vie misteriose – a diventare strumenti di salvezza.
Partiamo da Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe (Gen 37,3-4.12-13.17-28 – Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo!). La sua è una storia che affonda le radici nella complessa vicenda familiare del patriarca, padre di dodici figli, dieci avuti da una prima moglie e due – Giuseppe e Beniamino – da Rachele, la moglie amata. Giacobbe, che Dio rinominò “Israele” dopo una lotta notturna con un angelo, rappresenta l’uomo che non si arrende nella fede. Anche colpito al femore, Giacobbe non lascia andare l’angelo finché non riceve una benedizione. Ed è proprio da quella lotta che nasce il nome “Israele”, che significa “colui che lotta con Dio”. Un’immagine potente per ogni credente che, nelle prove della vita, continua a cercare il volto di Dio.
Giuseppe è l’amato della vecchiaia, simbolo vivente di quella predilezione che scatena la gelosia dei fratelli. La tunica che riceve dal padre – una veste dalle maniche lunghe – è un segno eloquente: chi la indossava, nel mondo antico, non era destinato al lavoro manuale. I fratelli, invece, portavano vesti più rozze. E nel contesto di una cultura in cui il primogenito riceveva la parte migliore dell’eredità, la preferenza accordata a Giuseppe rompeva ogni schema di giustizia apparente. Il cuore di Giacobbe sceglie, e questo basta a creare fratture.
Il dramma si compie quando i fratelli decidono di sbarazzarsi di lui. Lo gettano in una cisterna, poi lo vendono come schiavo. Ma proprio quel gesto, che sembrava dettato dalla crudeltà e dal tradimento, si trasforma in inizio di salvezza. Giuseppe approda in Egitto, dove, attraverso mille difficoltà, diventerà vice del faraone. Quando sopraggiunge la carestia, sarà proprio lui a salvare la sua famiglia, accogliendo e perdonando i fratelli. Quello che sembrava un destino di morte diventa così l’occasione per un nuovo inizio.
È qui che la storia di Giuseppe si intreccia con quella di Gesù. Anche Lui è il Figlio amato, rifiutato dal suo popolo. Anche Lui viene scartato. Eppure, proprio nella logica divina, è il rifiuto a diventare fondamento. Nel Vangelo di Matteo (Mt 21,33-43.45 – Costui è l’erede. Su, uccidiamolo!), Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi: un padrone affida una vigna a dei contadini, ma quando invia i suoi servi a riscuotere i frutti, questi vengono cacciati, picchiati, persino uccisi. Infine manda il proprio figlio, convinto che almeno lui verrà rispettato. E invece viene eliminato, nella speranza che, con la sua morte, la vigna passi di mano.
Il riferimento è chiaro: è la storia di Israele, che ha perseguitato i profeti, che ha rigettato Giovanni Battista, e che ora rifiuta anche il Figlio. Ma Gesù conclude con parole sconcertanti: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo“ (Sal 118,22). Quella pietra rifiutata diventa la base di una costruzione nuova. È il cuore stesso del cristianesimo: la salvezza passa attraverso lo scarto.
C’è un’immagine forte che aiuta a comprendere tutto questo: quella del sole. Ogni secondo, il sole consuma miliardi di tonnellate di idrogeno per produrre energia e luce. Si potrebbe pensare: “Povero sole, che spreco!” E invece proprio quel consumo incessante è ciò che rende possibile la vita sulla terra. Così è anche l’amore cristiano: si consuma, si dona, si perde – e proprio così fiorisce.
Gesù lo dice chiaramente: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà“ (Mt 10,39). È una logica rovesciata rispetto a quella del mondo. Ma è l’unica che salva. Quando si entra in questa dinamica, tutto assume un nuovo significato: la fatica, la sofferenza, la fedeltà quotidiana, persino il silenzio. Tutto diventa offerta, come una chiave d’oro che apre alla comprensione del reale.
La parabola del vignaiolo ci mostra anche quanto Dio ami la sua vigna: costruisce una siepe, una torre, un torchio. Sono segni di cura. Nei nostri paesi ci sono ancora contrade che si chiamano “Difesa”, perché un tempo venivano recintate con muretti a secco per proteggere le colture. Anche Dio costruisce una difesa attorno a noi. Ma ci chiede di portare frutto.
E se oggi, in Occidente, il Cristianesimo sembra affaticato, vuoto, marginale, altrove esplode con nuova vitalità. Pensiamo all’Africa, all’Asia, persino all’Oceania: a Sydney, per la prossima Pasqua, sono previste 2400 cresime. È il segno che Dio continua a costruire anche quando noi vediamo solo macerie.
Il nostro compito è non perdere la speranza, ma fidarci della logica di Dio: la pietra scartata può diventare fondamento. Come accadde a San Giuseppe, alla Vergine Maria, e a ogni discepolo che accetta di perdersi per ritrovarsi».