Si è svolto a San Severo il Convegno della Delegazione Puglie e Basilicata su “Percorsi possibili di pace in Medio Oriente”

Venerdì 15 novembre 2024 alle ore 17.30 presso la Chiesa di Santa Maria della Pietà in San Severo si è tenuto, come abbiamo annunciato [QUI], il Convegno sul tema La Tua pace sarebbe come un fiume" (Is 48,18). Percorsi possibili di pace in Medio Oriente, organizzato dalla Delegazione delle Puglie e Basilicata del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Foggia, della Città di San Severo e dell’Ordine degli Avvocati di Foggia, per il quale l’evento ha ottenuto anche l’accreditamento ai fini dell’aggiornamento professionale. I lavori sono stati preceduti alle ore 16.30 dalla solenne Santa Messa, che si è svolta in un clima di grande devozione e solennità, animata liturgicamente dai giovani membri dell’Arciconfraternita Orazione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
Copertina

La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dal Nunzio Apostolico S.E.R. Mons. Luigi Pezzuto, Cappellano Gran Croce di Merito, Arcivescovo titolare di Torre di Proconsolare, concelebrante il Cappellano Capo della Delegazione Mons. Giovanni Pistillo, Cappellano di Merito con Placca d’Argento. La Santa Messa è stata offerta in suffragio dell’anima del defunto confratello Dott. Danilo De Martino, Cavaliere di Merito, medico chirurgo dell’Unità di Chirurgia Toraco Polmonare dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, venuto a mancare all’affetto dei suoi cari lo scorso 4 settembre, all’età di 65 anni. Presente la consorte del compianto confratello, la Dott.ssa Barbara Ferrua.

La chiesa di Santa Maria della Pietà, monumento nazionale detta anche dei Morti (ossia delle anime purganti), in quanto affidata nel 1707 all’Arciconfraternita Orazione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, la più antica tra le confraternite attualmente attive, detta anche dei Nobili, fondata nel 1580 e canonicamente eretta nel 1693, che ottenne il regio assenso nel 1758.

La chiesa è uno dei massimi monumenti barocchi della regione, eretta nelle forme attuali nella prima metà del Settecento. Rivestita da preziosi marmi, opera di Aniello Greco e con pareti adorne di stucchi dorati e dipinti barocchi, sul tutto troneggia, sotto una slanciata cupola con decorazioni a stucco, esternamente rivestita di maioliche policrome, l’imponente altare maggiore, realizzato dai marmorari napoletani Michele Salemme e Antonio Pelliccia e da essi consegnato attorno al 1772.

Nella chiesa è esposto al culto dei fedeli l’affresco quattrocentesco della Madonna della Pietà, che la leggenda vuole sia connesso ad un evento prodigioso, quando, nel 1557, stillò sangue lì dove un pellegrino iracondo aveva conficcato la sua lama.

Foto di gruppo

Alla Celebrazione Eucaristica hanno preso parte, oltre ai relatori e partecipanti al Convegno ed altri fedeli, anche numerosi Cavalieri Costantiniani, tra cui come ospiti d’onore: S.E. il Marchese Don Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, Luogotenente per l’Italia Meridionale Peninsulare della Real Commissione per l’Italia; il Conte Don Gianluigi Gaetani dell’Aquila d’Aragona dei Duchi di Laurenzana, Cavaliere di Giustizia, e il Dott. Antonio Masselli, Cavaliere de Jure Sanguinis, rispettivamente Delegato e Segretario Generale ad interim per Napoli e Campania, con l’Avv. Giancarlo Parente Zamparelli, Cavaliere de Jure Sanguinis; e la Contessa Fadrique Donà dalle Rose dei Duchi de Vargas Machuca., Dama di Giustizia.

Per la Delegazione delle Puglie e Basilicata ha partecipato il Delegato per le Puglie e Basilicata Avv. Dario de Letteriis; Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis, con l’intero Consiglio di Delegazione: l’Avv. Michele Conte, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, Vice Delegato; il Mar. Roberto Modola, Cavaliere di Merito, Segretario Generale; il Dott. Dante de Lallo, Cavaliere di Merito, Tesoriere; il Dott. Andrea Nicoletti, Cavaliere di Merito, Responsabile del Cerimoniale e Responsabile della Comunicazione; Mons. Giovanni Pistillo, Cappellano di Merito con Placca d’Argento, Cappellano Capo; il Dott. Gianfranco Cupaiuolo, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, Consigliere; il Dott. Ettore Fraccacreta, Cavaliere de Jure Sanguinis, Referente per la Capitanata; l’Avv. Gaetano Lacerenza, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, Referente per la Terra di Bari; il Cap. Vasc. Giuseppe Giacovazzo, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, Referente per la Terra d’Otranto; il Dott. Davide Dragonetti, Cavaliere di Merito, Referente per Potenza.

A conclusione della Celebrazione Eucaristica hanno avuto inizio i lavori del Convegno La Tua pace sarebbe come un fiume” (Is 48,18). Percorsi possibili di pace in Medio Oriente, introdotti dal Moderatore, Mons. Giovanni Pistillo.

Hanno fatto seguito i saluti istituzionali del Dott. Mario Marchese, Assessore al Bilancio del Comune di San Severo, in rappresentanza del Sindaco Prof. Lidya Colangelo, che non ha potuto presenziare per altri impegni istituzionali concomitanti. Il Dott. Marchese ha espresso l’onorata ospitalità dell’evento, plaudendo all’iniziativa di affrontare una tematica così importante in questo tempo di conflitti e mostrando vivo apprezzamento per l’operato dei Cavalieri Costantiniani, offrendo la massima disponibilità del Comune di San Severo al supporto delle attività del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio sul territorio.

Sono seguiti gli interventi di Giosué del Vecchio, Assessore alla Viabilità, Agricoltura e Risorse Idriche della Provincia di Foggia, delegato a rappresentare la Provincia di Foggia, anch’egli esprimendo l’attenzione istituzionale, nonché personale, alla tematica affrontata dal Convegno; e di Rocco Pisone, Priore dell’Arciconfraternita della Orazione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo.

Quindi, è intervenuto S.E. il Marchese Don Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, che ha fortemente promosso questo evento nel territorio della Delegazione delle Puglie e Basilicata. Ha sottolineato come, avendo l’Ordine Costantiniano persa la caratteristica propriamente militare, “si è riposizionato acquisendo quel target che lo vede sempre più vicino a coloro che necessitano di umana solidarietà e alla difesa della Santa Fede”. E “come per altri Ordini Sacri e Militari, ha acquisito lo status di ordine dinastico. Ovvero è legato alla famiglia che ne porta il Gran Magistero, con l’attuale Gran Maestro S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie”. Ha sottolineato anche che: “oggi l’Ordine, per essere presente e fattivo nel contesto civile, si avvale di un’organizzazione capillare su tutto il territorio nazionale e internazionale, composto da uomini e donne che con il loro lavoro, spronano, indirizzano, sorvegliano, a che il divario fra chi può e chi non può possa essere sempre compensato dal buon senso e dal rispetto nei confronti dei più deboli, ma soprattutto alleviando lì dove c’è necessità di soccorso le sofferenze, attraverso missioni umanitarie, raccolte di viveri, di generi diversi in campo sanitario. L’Ordine costantiniano propone screening gratuiti per la prevenzione delle malattie, partecipa e promuove attività culturali a vario titolo organizzate”. Infine il Luogotenente per l’Italia Meridionale Peninsulare ha portato i saluti del Presidente della Real Commissione per l’Italia, S.E. il Principe Flavio Borghese, dei Principi di Sulmona e di Montecompatri, Cavaliere Gran Croce di Giustizia, “il quale tiene molto a questa occasione promossa dal nostro delegato Dario de Letteriis. Appuntamento questo per la pace che ci auguriamo tutti possa avvenire in tempi rapidi e che sia duratura”.

Poi, sono intervenuti i Relatori, in primis il Dott. Rony Tabash dell’Università di Betlemme (Palestina), che è intervenuto mediante videocollegamento da Betlemme; il Prof. Aldo Ligustro, Ordinario di Diritto Internazionale presso l’Università degli Studi di Foggia; S.E.R. Mons. Luigi Pezzuto, Cappellano Gran Croce di Merito, Arcivescovo titolare di Torre di Proconsolare, Nunzio Apostolico; il Prof. Don Francesco Piazzolla, Docente presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.

A chiusura del Convegno, è seguito l’intervento conclusivo del Delegato per le Puglie e Basilicata, Avv. Dario de Letteriis, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis.

Al termine del Convegno, la Delegazione delle Puglie e Basilicata del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha consegnato dei diplomi di Benemerenza dell’Ordine a tutti i Relatori, per le mani della Contessa Fadrique Donà dalle Rose dei Duchi de Vargas Machuca, Dama di Giustizia. Infine è seguito un vin d’honneur presso lo splendido palazzo Celestini.

Intervento del Dott. Rony Tabash, Università di Betlemme

«Buonasera a tutti, mi chiamo Rony Tabash, sono nato a Betlemme e appartengo a una famiglia Cristiana Cattolica. Ho studiato all’Università di Betlemme e, insieme alla mia famiglia, gestisco uno dei più antichi e piccoli negozi accanto alla Basilica della Natività. Questo luogo ha una storia che risale al 1927.

Il nostro lavoro non si limita alla gestione del negozio: sosteniamo circa 25 famiglie di artigiani cristiani che realizzano prodotti artigianali. Nonostante le difficoltà, ci impegniamo per mantenere viva questa tradizione, ma oggi la situazione è molto complessa.

Chiedo scusa per il mio italiano, che ho imparato da autodidatta, grazie anche all’aiuto di Don Francesco, il quale ci visita spesso e porta con sé molti pellegrini. Lui sa che Betlemme non è fatta solo di pietre, ma anche di “pietre vive”: noi, i cristiani che vivono qui, siamo il cuore pulsante di questo luogo santo. Senza di noi, Betlemme rischia di diventare un museo.

La difficile situazione a Betlemme

Vorrei condividere con voi le difficoltà che stiamo affrontando. La nostra comunità è esausta. Da anni conviviamo con problemi politici, sociali ed economici, e il COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione. Ora, con la guerra, la nostra speranza è messa a dura prova.

A Betlemme, la comunità Cristiana è una minoranza in costante diminuzione: circa 70 famiglie hanno lasciato la città negli ultimi anni. Non vogliamo la guerra, vogliamo la pace. Desideriamo un futuro tranquillo per i nostri figli, ma spesso sentiamo la tentazione di andarcene, perché le difficoltà sono immense. Tuttavia, partire significherebbe abbandonare il luogo dove è nato Gesù. Questo pensiero ci spezza il cuore.

La speranza che ci guida

Nonostante tutto, continuiamo a resistere. Ogni giorno iniziamo con una preghiera, recitando il Padre Nostro e l’Ave Maria, e andiamo avanti con fede. Il nostro negozio si trova vicino alla Basilica della Natività, e spesso mi reco lì per toccare la stella che segna il luogo della nascita di Gesù. Questo gesto semplice ci dà la forza di continuare.

L’aiuto che riceviamo dagli Italiani è per noi un grande segno di speranza. Molte parrocchie acquistano da noi rosari e altri oggetti artigianali, sostenendo così le famiglie che lavorano con noi. Gli Italiani sono per noi particolarmente vicini, e sentiamo che Betlemme è nel loro cuore.

Un appello al mondo

Vi chiedo di non lasciarci soli. Pregate per Betlemme, per la Terra Santa e per i Cristiani che vivono qui. Se potete, venite a visitare questi luoghi. Ma anche se non potete farlo, ricordateci nelle vostre preghiere. Noi siamo i vostri fratelli, viviamo nel luogo dove è nato Gesù, e la vostra vicinanza ci dà forza.

Betlemme non appartiene solo a noi, ma a tutti i Cristiani del mondo. La nostra missione è proteggere questo luogo, mantenere viva la sua anima, e continuare a essere testimoni della fede.

Grazie di cuore a tutti voi e a chi ha organizzato questa serata. Pregate per noi, e ricordate: Betlemme vive anche grazie al vostro sostegno e alle vostre preghiere.

Conclusione

Concludo ringraziandovi ancora una volta. La nostra speranza è di resistere almeno fino a Natale, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto. Continuate a pregare per noi, e, quando possibile, venite a scoprire la vera Betlemme, fatta non solo di pietre, ma di persone vive che portano avanti la fede e la tradizione. Grazie».

Intervento del Prof. Aldo Ligustro, Ordinario di Diritto Internazionale presso l’Università degli Studi di Foggia

«Sono onorato di essere presente oggi. L’invito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio mi ha dato l’opportunità di visitare questa splendida chiesa, accompagnato dall’amico Aldo Consiglio, che mi ha illustrato la bellezza di questi marmi e della struttura nel suo insieme. Questo momento assume per me un valore personale: mio figlio, molto amato, si chiama Giorgio, e questo dettaglio rende l’invito ancora più significativo.

Desidero ringraziare in particolare l’Avv. De Letteriis per avermi coinvolto. Ammetto che inizialmente ero combattuto: da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, io – come tanti studiosi di diritto internazionale – mi occupo quasi esclusivamente di guerra, stragi e crimini. È un tema angosciante, ma inevitabile, data la gravità delle emergenze geopolitiche attuali. Parlare di prospettive di pace in Medio Oriente è un’impresa ancor più ardua, poiché la situazione globale non lascia grande spazio alla speranza.

La necessità di una pace giusta

Quando parliamo di pace, dobbiamo intenderla come una pace giusta. Non vorremmo mai che si realizzassero scenari descritti da Tacito con la frase Desertum fecerunt et pacem appellaverunt – “hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”. Il rischio, purtroppo, non è irrealistico: una “pace” imposta potrebbe coincidere con la scomparsa del popolo palestinese da gran parte dei suoi territori. È fondamentale, quindi, promuovere il dialogo e il confronto, perché raramente sono i popoli a volere la guerra. Lo ha dimostrato poco fa la toccante testimonianza da Betlemme del Dott. Rony Tabash: il popolo palestinese desidera vivere in pace, e lo stesso vale, a mio avviso, per quello israeliano. Tuttavia, le classi dirigenti spesso fomentano i conflitti, talvolta per interessi meschini, come il consolidamento del potere politico.

Le radici storiche del conflitto

La complessità del conflitto israelo-palestinese affonda le sue radici in oltre un secolo di storia. Il primo Congresso Sionista del 1897 segnò l’inizio di un progetto che mirava alla creazione di una Patria per il popolo ebraico, in risposta a ondate di antisemitismo come quelle legate all’affaire Dreyfus. Da allora, il movimento sionista promosse l’acquisto di terre nella “terra dei padri” e l’insediamento di comunità ebraiche in Palestina. La Dichiarazione Balfour del 1917, in cui il governo britannico sosteneva una “casa nazionale” per gli ebrei, accelerò questo processo. Con il tempo, l’immigrazione ebraica creò tensioni con la popolazione araba locale, culminate in violenze e, successivamente, in guerre.

La Risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 propose una spartizione del territorio per creare due Stati, ma questa soluzione incontrò il rifiuto dei paesi arabi. La Dichiarazione d’Indipendenza di Israele nel 1948 portò alla prima guerra arabo-israeliana, consolidando Israele come Stato, ma provocando l’esodo forzato di centinaia di migliaia di palestinesi, un evento noto come la Nakba (la catastrofe).

Le guerre successive, come quella del 1967 (Guerra dei Sei Giorni), aumentarono la complessità del conflitto. Israele occupò territori come il Sinai, il Golan e parte della Cisgiordania, scatenando ulteriori tensioni. La Risoluzione 242 delle Nazioni Unite dichiarò illegittime queste occupazioni, ribadendo che il diritto internazionale vieta l’acquisizione di territori con la forza.

La difficile ricerca della pace

Nonostante tentativi come gli Accordi di Camp David (1978) e quelli di Oslo (1993), la soluzione dei “due Stati” non è mai stata realizzata. La nascita di movimenti come Hamas e Hezbollah, con posizioni radicali, e la mancanza di volontà politica da parte di alcuni governi israeliani hanno ulteriormente complicato il quadro. Sul piano giuridico, il principio di proporzionalità è centrale: il diritto alla legittima difesa invocato da Israele deve rispettare i limiti imposti dal diritto internazionale, evitando danni sproporzionati ai civili. Questo tema, purtroppo, coinvolge accuse di crimini di guerra da entrambe le parti.

Le sfide internazionali

Le organizzazioni internazionali, come l’ONU, spesso si trovano paralizzate dal diritto di veto e da interessi geopolitici. Anche l’Unione Europea, pur essendo una potenza economica, manca di una politica estera comune che possa incidere significativamente nel conflitto.

Conclusione

Nonostante tutto, la soluzione dei “due popoli, due Stati” rimane l’unica possibilità per garantire una pace duratura. Questo obiettivo, però, richiede un impegno internazionale coordinato, il superamento delle profonde divisioni e politiche che promuovano la sicurezza e lo sviluppo economico per entrambe le parti. Solo attraverso un dialogo autentico e una politica di equivicinanza sarà possibile costruire una pace giusta in un contesto così complesso».

Intervento di S.E.R. Mons. Luigi Pezzuto, Cappellano Gran Croce di Merito, Arcivescovo titolare di Torre di Proconsolare, Nunzio Apostolico

«Ringrazio per l’invito e per l’opportunità di condividere alcune riflessioni. Mi trovo pienamente in sintonia con quanto esposto in precedenza, specialmente sulla situazione di Israele, un popolo che la storia ci ha insegnato essere stato oppresso e perseguitato, ma che oggi si trova nel ruolo di persecutore. Ricordo una conversazione avuta prima dell’attuale conflitto con Fra’ Francesco Patton, OFM, Custode di Terra Santa. Già allora egli descriveva questa dinamica con l’immagine di Davide e Golia: un popolo che da oppresso si è trasformato in oppressore.

Vorrei offrire alcune considerazioni da Cristiano e da uomo di Chiesa, rivolgendomi a voi come fratelli in Cristo. Ritengo che, quando si parla di pace, occorra dirigere l’attenzione su due realtà fondamentali: Dio, da un lato, e il cuore dell’uomo, dall’altro. Sono queste le due conditio sine qua non per una pace autentica, duratura e giusta.

Dio è la pace, poiché in Cristo si rivela come fonte e essenza stessa di essa. Allo stesso tempo, il cuore dell’uomo è il luogo dove questa pace deve essere edificata e vissuta. La pace non è soltanto un’aspirazione dell’essere umano, ma una dimensione che ne definisce l’essenza. Senza pace, l’uomo è privato della sua pienezza e della sua dignità. È per questo che umanità e pace sono realtà inseparabili, ontologicamente intrecciate.

Comprendere questa verità ci permette di identificare con maggiore chiarezza i percorsi per costruire la pace. Senza una profonda coscienza dell’essenza della pace, rischiamo di smarrirci in soluzioni superficiali e inefficaci. E qui entra in gioco Dio. Per noi Cristiani, Dio è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale, come dice San Paolo agli Efesini, è la nostra pace. La pace, dunque, è essenza sia della natura divina che della natura umana. È un bene che trascende culture, etnie e religioni, unendo tutti gli uomini in un’aspirazione universale. Come disse San Paolo agli Ateniesi, “vedo che siete in tutto molto religiosi”. Anche se alcuni popoli non conoscono il Dio rivelato, il desiderio di pace testimonia un’indole religiosa innata nell’essere umano.

Pace e trascendenza

La pace, pertanto, non è semplicemente il risultato di circostanze esterne favorevoli, ma una realtà che ogni persona porta dentro di sé. Le vie per ottenere la pace devono essere le vie di Dio. Questo principio fondamentale è riassunto nel versetto che avete scelto: “La tua pace sarebbe come un fiume”. È un invito a riflettere su una dimensione trascendente della pace, che va oltre i confini politici, geografici o economici.

Il contributo umano alla pace

Dio è il donatore della pace, ma l’uomo è chiamato a collaborare con Lui per stabilirla e consolidarla sulla terra. Nessuno può sottrarsi a questo compito. Qual è, dunque, il percorso concreto che ciascuno di noi può intraprendere? Anzitutto, c’è un livello personale: ognuno è chiamato a essere portatore di speranza e fiducia, anche nelle situazioni più difficili. La preghiera costante per la pace si inserisce in questo atteggiamento fondamentale di speranza.

Un altro passo essenziale è la costruzione di una cultura della pace. Come ricorda il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, una mentalità di pace è la premessa per qualsiasi percorso concreto di riconciliazione. Oggi, invece, assistiamo a una prevalenza della cultura della guerra: le parti in conflitto si armano, perpetuando un ciclo di violenza. Dobbiamo lavorare sulle nuove generazioni, educandole a valori di giustizia, solidarietà e rispetto dei diritti umani.

Percorsi concreti

Per promuovere la pace, è necessario eliminare le cause di ingiustizia, come le disuguaglianze economiche, lo spirito di dominio e la mancanza di tutela dei diritti fondamentali, inclusa la libertà religiosa. Un altro strumento utile è il ricorso a tregue, anche temporanee, che possono favorire la comprensione reciproca e la ricerca di soluzioni negoziate. Tuttavia, per il Medio Oriente, la soluzione più promettente rimane quella a lungo auspicata dalla Santa Sede: la costituzione di due Stati, uno ebraico e uno palestinese.

Purtroppo, la diplomazia, che dovrebbe essere il mezzo privilegiato per risolvere i conflitti, appare oggi impotente. Questo accade perché mancano i valori fondamentali che rendono possibile la mediazione: giustizia, lealtà, solidarietà internazionale. Prevale invece il machiavellismo, una logica di sopraffazione che impedisce ogni tentativo di costruire una pace giusta e stabile.

Un impegno senza fine

Cari amici, la pace è un valore che si costruisce giorno per giorno, attraverso un impegno costante. Non è mai un traguardo definitivo, ma un’opera in continua evoluzione. La storia ce lo insegna: ogni generazione è chiamata a portare avanti questa missione, sapendo che il compito di costruire la pace durerà fino alla fine dei tempi. Grazie».

Intervento del Prof. Don Francesco Piazzolla, Docente presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme

«Buonasera a tutti e grazie per l’invito.

Mi permetto di condividere alcune riflessioni che nascono sia dal mio coinvolgimento emotivo nella situazione della Terra Santa, sia dalla mia esperienza diretta in quei luoghi. Preferisco chiamarla “Terra Santa”, evitando qualificazioni politiche come Palestina o Israele, termini che nella storia si sono spesso sovrapposti o scontrati. Ogni popolo ha diritto a una terra e a un’identità, ma per me, parlare di Terra Santa significa riferirsi al luogo della Rivelazione.

Ho avuto la grazia di vivere a Gerusalemme, un’esperienza che mi ha permesso di entrare in contatto con la bellezza e l’umanità dei popoli che vi abitano. Pur essendo un osservatore esterno – non essendo né Palestinese né Ebreo – ho potuto apprezzare le ricchezze umane e culturali di queste comunità, pur nella complessità delle loro relazioni.

Uno sguardo Cristiano alla situazione

Mi pongo con uno sguardo ecclesiale e Cristiano, cercando di interpretare questa realtà dolorosa. Prima del 7 ottobre 2023, la Terra Santa sembrava vivere una sorta di “assopimento” sul tema della convivenza tra due popoli. La diplomazia internazionale pareva aver messo in secondo piano questo problema, nonostante i numerosi inviti al dialogo interreligioso, come quello del Papa attraverso l’enciclica Fratelli tutti. Tuttavia, il conflitto riesploso dal 7 ottobre ha cambiato ogni cosa, rivelando tutta la crudezza della situazione.

Vorrei lanciare una provocazione: oggi 750.000 Arabi lavorano in Israele, integrati nel suo sistema economico, mentre il 60% dei territori della Cisgiordania è occupato da insediamenti israeliani. Parlare di “due popoli, due Stati” sembra una soluzione lontana, se non impossibile. Ricordo le parole di un Cristiano Arabo, un autista, che mi disse: “Padre, io voglio stare sotto gli Ebrei, ma non voglio essere trattato come un animale”. Questo testimonia il desiderio di dignità e rispetto, ma anche la consapevolezza delle difficoltà di un’eventuale divisione.

Le divisioni interne alla società israeliana

La società israeliana è attraversata da profonde divisioni, che vanno ben oltre il conflitto con i Palestinesi. Alcuni studiosi parlano di una nuova frammentazione in “tribù”, richiamando il termine biblico. Dopo il ritorno alla “terra promessa”, iniziato nel XIX secolo con il primo congresso sionista, la società israeliana ha visto emergere una pluralità di gruppi: aschenaziti, sefarditi, ebrei ortodossi (spesso critici dello Stato di Israele), nazionalisti religiosi, sionisti e laici assimilati. Questa eterogeneità rende complessa persino la coesione interna.

A questo si aggiunge il rapporto difficile con il “nemico eterno”, il mondo arabo, spesso visto come un blocco uniforme. Anche qui, però, esistono distinzioni importanti, come quella tra Musulmani e Cristiani. I Cristiani, pur essendo una minoranza, non possono essere ignorati, anche se spesso vivono una condizione di tolleranza marginale.

La questione palestinese: tra abbandono e isolamento

I Palestinesi, e in particolare i Cristiani, vivono una solitudine drammatica. La loro condizione è aggravata non solo dall’occupazione israeliana, ma anche dal disinteresse dei Paesi arabi. Spesso vengono trattati come capri espiatori delle tensioni mediorientali, in un contesto in cui le politiche occidentali hanno contribuito a creare e perpetuare conflitti.

La situazione nella Cisgiordania peggiora continuamente, con violenze crescenti da parte dei coloni Israeliani, spesso protetti dall’esercito. Le Nazioni Unite hanno tentato di sanzionare queste azioni, ma la stessa esistenza degli insediamenti è già una forma di violenza. A Betlemme, Gerico e altre città palestinesi, le condizioni di vita sono drammatiche, aggravate dalla crisi economica e dall’assenza di supporto statale, a differenza di quanto accade in Israele.

La dimensione religiosa e la costruzione della pace

La religione viene spesso percepita come una causa del conflitto, ma in realtà può essere una risorsa per la riconciliazione. Personalmente, ho sperimentato gesti di grande umanità e accoglienza da parte di Musulmani ed Ebrei. Ricordo, ad esempio, quando smarrii il cellulare a Gerusalemme Est e un gruppo di ragazzi Musulmani si mise a cercarlo con me fino a ritrovarlo.

Il problema è che, nel contesto attuale, le voci dei leader religiosi rimangono deboli o assenti. Lo stesso Cardinale Pizzaballa ha sottolineato come questa guerra sia segnata da un’assenza di parole profetiche da parte delle tre grandi religioni monoteistiche. Anche noi Cristiani siamo divisi nella gestione dei luoghi santi, spesso più concentrati sulla difesa degli spazi che sulla testimonianza della pace.

Eppure, alcuni segni di speranza esistono. I frati della Custodia di Terra Santa, ad esempio, hanno fondato il Magnificat, una scuola di musica dove Cristiani, Ebrei e Musulmani convivono e imparano insieme. Piccoli gesti come questi mostrano che è possibile costruire ponti, anche attraverso il linguaggio universale della cultura.

Conclusioni

La pace sembra lontana, ma non impossibile. Serve un rinnovamento profondo, con nuovi volti politici e nuove prospettive culturali. La comunità internazionale, compresa l’Europa, deve uscire dalla confusione e riconoscere la complessità del conflitto. Più che eliminare le religioni, come suggeriscono alcuni, occorre invece riscoprire la loro capacità di ispirare dialogo e riconciliazione.

Dobbiamo ripartire dalle basi: dall’educazione, dalla cultura, dalla consapevolezza che la convivenza è non solo necessaria, ma possibile. La speranza è che, terminata questa guerra, si possa ricostruire su fondamenta più solide, con il contributo di tutti, credenti e non, per un futuro di pace in Terra Santa».

Intervento conclusivo
del Delegato delle Puglie e Basilicata
Avv. Dario de Letteriis

«Ringrazio innanzitutto tutti i presenti, i Relatori per i loro interventi illuminanti e il Luogotenente per l’Italia Meridionale Peninsulare della Real Commissione per l’Italia, S.E. il Marchese Don Sanfelice di Bagnoli, con il quale abbiamo fortemente voluto organizzare questo evento. Desidero inoltre ringraziare il Delegato per Napoli e Campania, il Conte Gianluigi Gaetani d’Aragona, la cui famiglia è profondamente legata alla storia di San Severo grazie al Vescovo Bernardo Gaetani d’Aragona. Questi, dal 1889 al 1893, fu alla guida della Diocesi di San Severo e veniva spesso a pregare proprio in questa chiesa, che era l’oratorio dei vescovi della città. Qui, ogni mattina, celebrava la Santa Messa.

Tuttavia, non è solo di storia che vogliamo parlare oggi, anche se un altro episodio storico significativo mi porta a citare un amico presente: Antonio Masselli. La famiglia Masselli ha avuto un ruolo importante in questa chiesa, con un loro priore che ha servito fino al 1973. Questa è una tradizione che onoriamo e che dimostra quanto sia viva la memoria di chi ha dedicato la propria vita a questa comunità.

Un pensiero speciale va poi a Fadrique Donà dalle Rose, la cui presenza qui oggi mi commuove profondamente. È figlia dell’indimenticabile Diego de Vargas, che in questa chiesa divenne confratello onorario e qui visse il suo ultimo evento ufficiale come Presidente della Real Commissione per l’Italia. La famiglia de Vargas è venuta in diverse occasioni a San Severo, anche in qualità di Vicari imperiali, portando un importante contributo alla storia della nostra comunità.

Ma perché abbiamo voluto creare questo evento? La risposta è legata alla nostra vocazione di Cavalieri Costantiniani. Un Cavaliere Costantiniano deve rispondere a tre obiettivi fondamentali: glorificare la Santa Croce, difendere la Santa Fede e dedicarsi all’assistenza dei bisognosi. Glorificare, come diceva San Tommaso d’Aquino, significa dare clara notitia cum laude, ossia dare chiara notizia del divino, rendendo visibile la luce della fede. Oggi, con questo incontro, abbiamo compiuto un’opera di apostolato culturale, portando avanti la missione dei Cavalieri Costantiniani e rispondendo alla nostra chiamata.

Un episodio emblematico può aiutarci a comprendere meglio questa vocazione. Molti anni fa, durante una riunione di Delegati dell’Ordine Costantiniano a Roma, il Principe Giuseppe Bonanno di Linguaglossa, allora Vicepresidente per l’Italia Meridionale, si alzò per parlare e disse: “Io alla FAO e a Londra non ci vado più, perché non mi ascoltano”. Quella frase, sebbene pronunciata con una certa ironia, evidenziava una realtà: laddove non siamo ascoltati a livello istituzionale, il nostro ruolo diventa quello di muovere le coscienze attraverso l’apostolato culturale. Questo è ciò che abbiamo fatto stasera, cercando di risvegliare gli animi e promuovere una riflessione più profonda.

La storia, per noi Cattolici, non è una categoria ideologica, ma fattuale. È lo spazio in cui si scrive la verità di Dio. Questo è il significato della teologia della storia, e stasera abbiamo contribuito a raccontarla. In questo contesto, facciamo nostre le parole di San Paolo: “E credette contro ogni speranza” (Lettera ai Romani), un’esortazione a non arrenderci mai, nemmeno di fronte alle difficoltà.

Vorrei chiudere ricordando che, se è vero che le religioni hanno avuto momenti di conflitto, ci sono stati anche periodi di convivenza pacifica. Un esempio è il Libano, un tempo chiamato la Svizzera del Medio Oriente, dove Cristiani e Musulmani vivevano insieme in armonia. Questo ci invita a riflettere su come possiamo costruire ponti, nonostante le differenze.

Grazie a tutti voi per aver partecipato e contribuito a questa serata, che è stata un autentico momento di apostolato e di condivisione di valori profondi».

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