
La mattina di venerdì 19 settembre 2025 il duomo di Napoli è stato aperto alle ore 07.30. Alle ore 08.00 è stata celebrata la prima Santa Messa. Alle ore 08.45 è stata data lettura della Passione di San Gennaro. Alle ore 10.00 l’Arcivescovo metropolita di Napoli, il Cardinale Domenico Battaglia si è recato – accompagnato dall’Abate della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, Mons. Vincenzo De Gregorio, dal Sindaco della Città di Napoli e Presidente della Deputazione del Tesoro di San Gennaro, Prof. Gaetano Manfredi e dal Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca – nella Cappella del Tesoro per aprire la cassaforte con le ampolle, che contengono il sangue del santo patrono.




Le reliquie sono state portate all’altare per la solenne Celebrazione Eucaristica per la festività del santo patrono, presieduta dal Cardinal Battaglia, che ha mostrato l’ampolla con il sangue di San Gennaro sciolto, alle tantissime persone presenti in duomo, tra fedeli e turisti, che si sono ritrovati per assistere alle celebrazioni nel giorno di San Gennaro, molti dei quali avevano vegliato per tutta la notte recitando Rosari e condividendo speranze. Come da tradizione, ad accompagnare l’annuncio c’è stato lo sventolio del fazzoletto bianco da parte di Don Pietro Capuano, Membro della Deputazione del Tesoro di San Gennaro.



Alla Celebrazione Eucaristica hanno preso parte, oltre alle autorità religiosi, civili, militari e delle forze dell’ordine, tra cui il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, anche rappresentanti del Comitato Diocesano San Gennaro e della Real Deputazione di San Gennaro: il Presidente, Prof. Gaetano Manfredi, Sindaco di Napoli; il Vice Presidente, S.E. il Duca Don Riccardo Carafa D’Andria, Cavaliere Gran Croce di Giustizia; S.E. il Marchese Don Pierluigi Sanfelice dei Duchi di Bagnoli e dei Duchi di San Cipriano, Balì Gran Croce di Giustizia; Don Pietro Capuano; S.E. Don Girolamo Carignani di Carignani, Duca di Novoli, Cavaliere di Giustizia.



Partecipando tra i Membri della Real Deputazione di San Gennaro, S.E. il Marchese Don Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, Balì Gran Croce di Giustizia, Luogotenente per l’Italia Meridionale Peninsulare della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha guidato una rappresentanza di Cavalieri Costantiniani della Delegazione di Napoli e Campania della Sacra Milizia Costantiniana, in vece di S.A.R. il Principe Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, Duca di Calabria, Conte di Caserta, Capo della Real Casa delle Due Sicilie, Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano, nonché del Real ed Insigne Ordine di San Gennaro,


Dedicato al santo patrono di Napoli, il Real ed Insigne Ordine di San Gennaro è tra le massime istituzioni cavalleresche del Regno delle Due Sicilie, ordine di collare, legato dal sangue, dalla fede e dalla tradizione alla dinastia dei Borbone. Il Gran Maestro attuale, il Duca di Calabria S.A.R. Don Pedro di Borbone delle Due Sicilie e Orléans, guida l’Ordine con devozione, equilibrio e lungimiranza. Come Capo della Real Casa delle Due Sicilie, egli perpetua quel vincolo antico che unisce la dinastia dei Borbone al popolo napoletano, offrendo simboli, gesti, presenza nelle celebrazioni, nel culto, nella storia. L’Ordine di San Gennaro, come l’Ordine Costantiniano di San Giorgio, rinnovano oggi non solo la devozione, ma l’appartenenza morale al passato e alle virtù che lo resero grande. In un tempo dove molte cose vacillano, la festa di San Gennaro è ancora baluardo di identità, di comunità e di speranza per il futuro.
La luce di San Gennaro illumini il cammino della Città di Napoli, della Fede, della memoria. Che gli Ordini di San Gennaro e di San Giorgio con il loro Gran Maestro siano guida, custodi di una storia che vive, che parla e che consolida l’anima napoletana. Per chi crede, per chi spera, per chi ama Napoli, essa è la promessa che non si spegne.

La sera del 16 dicembre 1646, tre giorni dopo l’inaugurazione della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro e per occasione della data del terzo miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro, venne trasferito dalla cappella vecchia alla nuova.
Il busto è rivestito di una ricca casula con pietre preziose e smalti raffiguranti le insegne araldiche degli angioini. Nell’anno 1712 la Deputazione della Reale Cappella del Tesoro decise di ornare il busto reliquario con una mitria di oro e argento, affidando la realizzazione all’orafo napoletano Matteo Treglia che dopo un solo anno di lavoro, nel 1713, consegnò un capolavoro con circa 3694 pezzi tra diamanti, smeraldi e rubini. La mitria è considerata una delle dieci meraviglie del Tesoro di San Gennaro e uno degli oggetti più preziosi al mondo.
Il busto è solitamente esposto nella Reale Cappella del Tesoro del duomo di Napoli e, in alcuni casi, è custodito nella cassaforte in argento donata dall’Imperatore Carlo II di Spagna nel 1667, quella in cui viene custodita la teca contenente le ampolle con la reliquia del sangue.
Le ossa del santo furono trafugate dal Principe longobardo Sicone I di Benevento nel IX secolo e portate a Benevento, mentre a Napoli rimase parte del cranio che i tre orafi provenzali racchiusero nella calotta del capo, con un’apposita apertura.
San Gennaro e il prodigio del sangue
San Gennaro fu Vescovo di Benevento e subì il martirio a Pozzuoli nel 305, durante le persecuzioni dell’Imperatore Diocleziano. Venne decapitato e, secondo la tradizione, una donna devota – pare la sua nutrice – raccolse il suo sangue, che consegnò all’allora Vescovo di Napoli.

Il sangue è conservato in due ampolle custodite nella cassaforte con doppia serratura nella Cappella del Tesoro del duomo di Napoli: una è riempita per tre quarti, mentre l’altra è semivuota perché parte del suo contenuto fu portato da Re Carlo III di Borbone con sé in Spagna.
Il prodigio del sangue di San Gennaro è atteso tre volte l’anno, nelle ricorrenze per celebrare il santo patrono di Napoli:
Il sabato antecedente alla prima domenica di maggio, in ricordo della traslazione delle spoglie mortali da Pozzuoli alle catacombe di Capodimonte.
Il 19 settembre, data in cui fu decapitato nel 305 il giovane Vescovo di Benevento.
Il 16 dicembre, in occasione dell’anniversario di una eruzione del Vesuvio del 1631 arrestata, secondo la credenza popolare, per intercessione del Santo.
La celebrazione del 19 settembre è l’occasione principale per il prodigio. Migliaia di fedeli si riuniscono nella cattedrale di Napoli, aspettando con ansia la liquefazione del sangue di San Gennaro, considerata un segno di protezione per la città. Il prodigio della liquefazione del sangue risale al 1389, così come racconta il Chronicon Siculum, mentre secondo la leggenda il sangue si sarebbe liquefatto per la prima volta nel IV secolo durante il trasferimento a Napoli delle spoglie del santo.
Secondo la tradizione popolare, la liquefazione del sangue è considerata di buon auspicio per la Città. Il rapido scioglimento viene accolto come promessa di protezione, mentre un eventuale ritardo o l’assenza, nonostante canti, preghiere, invocazioni e litanie, viene considerato segno sfavorevole per la Città e la sua gente.
Nel corso dei secoli, studiosi e scienziati hanno provato a dare spiegazioni naturali al prodigio, ma il mistero resiste. Quel che conta davvero, per i fedeli e per la Città, è il significato collettivo: la liquefazione è un rito che unisce credenti e non credenti, sacro e profano, fede e identità popolare.
Ogni volta che il sangue si scioglie, Napoli ritrova un respiro comune. La gente che attende, i canti dialettali delle “parenti”, le donne vestite di nero che da generazioni custodiscono l’anima popolare del rito, con i loro canti, invocazioni, lacrime, grida e preghiere, che si intrecciano alle dirette televisive e agli streaming seguiti dagli emigrati Napoletani in tutto il mondo, fanno di San Gennaro un simbolo globale, un ponte tra passato e presente.

Un altare di pace
per il mondo e per Napoli
Se il prodigio del sangue rappresenta la dimensione più spirituale e popolare della giornata, l’omelia del Cardinale Domenico Battaglia ha dato un significato ancora più forte, intrecciando la tradizione con i drammi del presente. Con voce commossa, ha sottolineato: «Oggi la parola sangue ci brucia addosso. Perché il sangue è un linguaggio che tutti capiamo, e che chiede conto a tutti. Il sangue di Gennaro si mescola idealmente al sangue versato in Palestina, come in Ucraina e in ogni terra ferita dove la violenza si crede onnipotente e invece è solo rumore. Il sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato».
Poi, il passaggio più forte: «Se potessi, raccoglierei in un’ampolla il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini di ogni popolo — e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun rito ci assolva dalla responsabilità, perché la preghiera senta il peso di ogni ferita e non scivoli via. E oggi, con pudore e con fuoco, dico: è il sangue di ogni bambino di Gaza che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all’ampolla del santo. Perché non esistono “altre” lacrime: tutta la terra è un unico altare».
Quindi, esprime «un appello chiaro, diretto, senza garbo diplomatico»: «La pace è un dono e, se continuiamo con la nostra preghiera e i nostri sacrifici, tutti possiamo collaborare alla pace. E poi dobbiamo parlare di pace, convincere, con molta sincerità e carità. Dobbiamo essere convinti che la pace è possibile, non è un’utopia».
Si è rivolto direttamente a Israele «non da avversario, ma da fratello nell’umano», chiedendo la fine delle rappresaglie e l’apertura di corridoi umanitari: «La sicurezza che calpesta un popolo non è sicurezza, è un incendio che prima o poi brucia la mano che credeva di domarlo». Allo stesso tempo, ha condannato ogni forma di terrorismo, di sequestro e di violenza indiscriminata, richiamando tutti al valore della grandezza che sa fermarsi davanti alla giustizia e alla vita umana.
Non meno incisivo l’appello alle istituzioni italiane ed europee: «Ogni bilancio militare che si gonfia come una vela è vento cattivo contro la carne dei poveri. Come potete scegliere i missili prima del pane?». Un invito, dunque, a rimettere al centro la persona, la dignità e i diritti fondamentali.
Infine, le parole rivolte a Napoli: una città descritta come «altare ferito e luminoso», che conosce bene il sangue delle vittime innocenti e dei giovani perduti, ma che ha bisogno di riscatto attraverso lavoro, scuola, cultura e speranza. «La politica non deve essere amministrazione dell’emergenza, ma arte liturgica: capace di creare futuro», ha concluso il Cardinal Battaglia.
Omelia del Cardinale Domenico Battaglia
Sorelle e fratelli,
oggi Napoli si ferma come il mare quando il vento si placa. È un placarsi interiore, la sensazione di una giornata di festa, di fede, di identità. Le strade si fanno navate, i balconi cantorie, la città una cattedrale intera. Al centro, non un oggetto, ma un segno: un’ampolla, un sangue, un nome — Gennaro. Qui celebriamo non un trofeo, ma una memoria viva: quella dei martiri che l’Amore non ha lasciato soli. Il tempo, che velocemente svuota i nomi dei dominatori, conserva invece i nomi delle vittime — scritti nel pianto dei poveri, nel grido degli innocenti, nel silenzio degli ultimi. Anche quando a noi sfuggono, Dio li conosce e li incide nelle sue palme.
La Parola ci pone oggi sulle labbra una frase che è varco e promessa: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà» (Mc 8,35). Non è un motto per poster, è un ponte tra due rive. Su quel ponte Gennaro passò intero: la carne consegnata, la paura vinta, la libertà restituita al suo Autore. Non scelse di salvarsi: scelse di donarsi. E il sangue, che i violenti credettero sigillo d’oblio, divenne voce: voce che ancora predica alla città e la chiama a fidarsi del Vangelo più di ogni calcolo, più di ogni prudenza. Guardiamo quel segno non con superstizione, ma come invito a scommettere tutto sull’Affidamento.
Oggi la parola sangue ci brucia addosso. Perché il sangue è un linguaggio che tutti capiamo, e che chiede conto a tutti. Il sangue di Gennaro si mescola idealmente al sangue versato in Palestina, come in Ucraina e in ogni terra ferita dove la violenza si crede onnipotente e invece è solo rumore. Il sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato. Se potessi, raccoglierei in un’ampolla il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini di ogni popolo — e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun rito ci assolva dalla responsabilità, perché la preghiera senta il peso di ogni ferita e non scivoli via. E oggi, con pudore e con fuoco, dico: è il sangue di ogni bambino di Gaza che metterei esposto in questa cattedrale, accanto all’ampolla del santo. Perché non esistono “altre” lacrime: tutta la terra è un unico altare.
Da questa cattedrale che respira come un petto antico, si alza un appello chiaro, diretto, senza garbo diplomatico:
Ascolta, Israele: non ti parlo da avversario, ma da fratello nell’umano. Ti chiamo col nome con cui la Scrittura convoca il cuore all’essenziale: Ascolta. Cessa di versare sangue palestinese.
Cessino gli assedi che tolgono pane e acqua; cessino i colpi che sbriciolano case e infanzie; cessino le rappresaglie che scambiano la sicurezza con lo schiacciamento, cessi l’invasione che soffoca ogni speranza di pace. La sicurezza che calpesta un popolo non è sicurezza: è un incendio che, prima o poi, brucia la mano che credeva di domarlo.
So il peso del tuo lutto, le ferite che porti nella carne e nella coscienza. Ogni terrorismo è un sacrilegio, ogni sequestro un’ombra sull’umano, ogni razzo contro civili un peccato che grida. Ma oggi — davanti al sangue del martire — ti chiamo per nome: tu, Israele, fermati. Apri i valichi, lascia passare cure e pane, sospendi il fuoco che non distingue e moltiplica gli orfani. Non ti chiedo debolezza: ti chiedo grandezza. La grandezza di chi arresta la propria forza quando la forza profana la giustizia; di chi riconosce che l’unica vittoria che salva è quella sulla vendetta.
Sorelle e fratelli, Napoli, nonostante le sue ferite, è città di pace. E da questa città affacciata sul mediterraneo vorrei si generasse un movimento di speranza e di pace, perché come diceva La Pira occorre partire dalle città per unire le nazioni. E vorrei anche che questo contagio di riconciliazione fosse fondato su un linguaggio chiaro, compreso da tutti i popoli di tutte le città che su questo mare affacciano i propri timori e le proprie speranze. Perché la menzogna comincia dalle parole, soprattutto da quelle ambigue, anestetizzate: i droni sono fucilazioni telecomandate; i “danni collaterali” sono bambini senza volto; una spesa militare che supera scuola e sanità non è sicurezza ma suicidio collettivo. Convertiamo gli arsenali in ospedali, gli utili di guerra in borse di studio, i bunker in biblioteche
Questa è l’unica geopolitica evangelica degna del Nome che invochiamo.
Diciamocelo con la franchezza dei santi: il male non è un’idea, è una filiera. Ha uffici, contabili, bonus, piani industriali. La guerra non “scoppia”: si produce, si finanzia, si premia. Ogni bilancio militare che si gonfia come una vela è vento cattivo contro la carne dei poveri. Ogni “espansione della spesa per la difesa” che supera scuola e sanità non ci rende sicuri: ci rende più soli e più poveri.
Il grido dei poveri e degli ultimi, il sangue dei bambini e il pianto delle loro madri, dice ai potenti di questa terra, alle istituzioni di questa nostra unione, alla Knesset, ai governi, ad ogni comando militare: fermate la spirale! Cercate giustizia prima dei confini, diritti prima dei recinti, dignità prima dei calcoli. Non si costruisce pace con check-point e interruzioni di vita, ma con diritto eguale, sicurezza reciproca, misericordia politica.
Il sangue gridato dalle macerie non è un argomento: è un’anafora di Dio che ripete: Che ne hai fatto di tuo fratello?
Sorelle e fratelli che sedete nei parlamenti, vi chiedo: come potete scegliere i missili prima del pane? Dove avete smarrito il volto dei vostri fratelli e delle vostre sorelle?
Sorelle e fratelli che operate nella finanza e nei grandi mercati, vi chiedo: come potete esultare quando la guerra si allunga e le azioni della difesa salgono? Non sentite il grido dei vostri fratelli e delle vostre sorelle?
Sorelle e fratelli imprenditori e azionari le cui industrie falsificano il Vangelo del lavoro, fondendo aratri in granate, vi chiedo: che ne avete fatto della dignità dei vostri fratelli e delle vostre sorelle?
E noi tutti, con le nostre coscienze addormentate, che lasciamo scorrere il dolore come acqua sul marmo, assuefatti all’orrore, chiusi nel piccolo recinto della comodità che vogliamo difendere a ogni costo… anche noi dobbiamo chiederci: che ne abbiamo fatto dei nostri fratelli e delle nostre sorelle?
Qui, a Napoli, questa domanda ce la poniamo ogni giorno perché la nostra città è un altare ferito e luminoso, dove il sangue lo conosciamo: quello dei giovani perduti, quello delle vittime innocenti, quello invisibile di chi smette di sognare. La questione meridionale non è un capitolo archiviato: è una pagina che chiede inchiostro nuovo — lavoro, scuola, cura, cultura. E necessita non di amministratori dell’emergenza, ma artigiani di futuro. Perché la politica, se è degna del suo nome, è un’arte liturgica: mette ordine non per ornare, ma per servire.
E guardando all’Italia intera, lasciamo che i numeri si facciano volti: giovani legati al precariato come a una zattera; anziani costretti a scegliere se curarsi o mangiare; famiglie che contano i centesimi come si contano i respiri. È qui che si misura il Vangelo: «Ero affamato… ero assetato… ero forestiero…» — non come metafora, ma come agenda.
“Cosa possiamo fare?” — mi chiedete. È la domanda di Pietro quando la barca scricchiola. Il martirio che ci è chiesto oggi non è quello del sangue, ma quello della coerenza. Della mitezza ostinata di chi non si lascia comprare. Della pazienza creativa di chi educa senza scorciatoie. Della fedeltà operosa di chi serve i poveri senza altarini. Della sobrietà lieta di chi spende meno per sé e investe su chi non potrà restituire. È il martirio dell’attenzione: costa più dell’oro.
Ma il Vangelo non ci chiede solo bontà: ci chiede giustizia. La giustizia non è risentimento: è ordine dell’amore. È regola che santifica il tempo, è lavoro che non sfrutta, è tavola che allarga i posti, è potere che non si auto-assolve. L’Europa non si salverà con muri e con rotte ciniche, ma ricordando di essere nata da monasteri e cattedrali: scuole per i figli dei poveri, mercati che chiudevano la domenica, comunità che fondavano legami. Non nostalgie, ma disciplina di futuro.
Torniamo al sangue. Guardatelo. Non come curiosità, ma come specchio. Il sangue di Gennaro non è un talismano: è un appello. Ogni goccia dice: non tradire. Non tradire il Vangelo con un culto senza conversione. Non tradire il povero con un’elemosina senza scelte. Non tradire la pace con parole senza progetto. Non tradire i bambini con scuole senza maestri e città senza cortili.
Per questo, oggi, osiamo chiedere un miracolo preciso. San Gennaro, fratello e martire: sciogli non solo il tuo sangue — che è segno — ma il nostro cuore, dove si decide tutto. Disarma le nostre paure travestite da prudenza. Spazza via la patina di cinismo che si attacca alla fede. Donaci un coraggio senza teatro e scelte che non fanno notizia ma cambiano la vita.
Guarda la Palestina, guarda l’Ucraina, guarda i Sud del mondo: quanti non hanno più lacrime e ci prestano i loro occhi. Fa’ che la pace non sia uno slogan, ma una pratica. Fa’ che ogni comunità diventi sala d’attesa di resurrezioni: mensa per chi ha fame, porta per chi non ha casa, lingua per chi non sa parlare, compagnia per chi non regge da solo. E qui, nella nostra città, fa’ che sotto ogni balcone si veda un ragazzo con un libro e non con un’arma; che ogni cortile sia un campo di gioco e non di spaccio; che ogni impresa pulita valga più di qualunque denaro sporco.
Se oggi chiediamo un prodigio, fa’ che sia questo: che il prodigio cominci da noi. Che si apra in ciascuno un cantiere di pace: una sedia in più a tavola, un’ora in più per educare, un euro in meno per sé e uno in più per chi non può. E quando qualcuno domanderà se il sangue si è sciolto, potremo rispondere: sì, il sangue si è sciolto. Non solo qui, non solo oggi, non solo nell’ampolla: si è sciolto nei cuori. Ha ripreso a scorrere; ha portato ossigeno alle mani, grazia agli occhi, forza ai piedi. E la città — questa città che amiamo — riprenderà il suo passo grande, e questo mondo – per il quale Dio Padre ha donato il suo Figlio Gesù, nel cui sangue tutti siamo amati e salvati – riprenderà il suo passo santo: il passo della pace.
Amen.
La pace è possibile
Videomessaggio del Parroco di Gaza
In apertura della Celebrazione Eucaristica è stato trasmesso un videomessaggio di Padre Gabriel Romanelli, Parroco della chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. “Ogni celebrazione eucaristica inizia sempre con l’atto penitenziale – ha detto ha detto il Cardinal Battaglia – e questa mattina come atto penitenziale vorrei consegnarvi un messaggio, che non è mio. Sono spesso in contatto con Padre Gabriel, il Parroco di Gaza, anche se in questi ultimi giorni la comunicazione è un po’ più difficile. Lui ha mandato un videomessaggio per noi, per questa festa di oggi”.
Nel suo videomessaggio, Padre Romanelli ha spiegato che “la situazione continua ad essere molto grave in tutta la Striscia di Gaza con i bombardamenti. Continua una situazione di guerra e continua la morte che già si è portata via decine di migliaia di persone: sono stati uccisi più di 18mila bambini e gli ostaggi ancora non hanno sperimentato il diritto di vivere in libertà, i feriti e gli ammalati non hanno ancora possibilità di cura perché all’ospedale manca tutto. Le armi hanno preso il sopravvento”.
“È una giornata molto importante, è un momento identitario fondamentale, ma non dobbiamo dimenticare che è un grande momento di fede”, ha affermato il Sindaco di Napoli arrivando al duomo. “Stiamo vivendo una fase storica molto difficile – ha aggiunto – le tante guerre, le tante difficoltà che ci sono. Nei momenti di maggiore difficoltà la fede delle persone è un elemento fondamentale per trovare una nuova speranza”.
Ricordiamo, che i proventi della Cena di Gala di Beneficenza, organizzata dalla Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio nell’ambito del Pellegrinaggio Costantiniano Giubilare, il 12 settembre 2025 a Palazzo Taverna in Roma, sono destinati alla popolazione Cristiana di Gaza, attraverso il Patriarcato Latino di Gerusalemme.
Foto di copertina: Louis Finson, San Gennaro mostra le sue Reliquie, circa 1610-1612, olio su telo, 126,4×92,4 cm, Palmer Museum of Art, Pennsylvania, USA.