

La chiesa di San Domenico
Non si conosce la data di costruzione della chiesa di San Domenico a Chieri, anche se della sua presenza si ha notizia già nel XIV secolo. Nel 1332 il Consiglio Comunale concesse ai Domenicani un contributo per la sua costruzione. Fu consacrata solo nel 1388. L’Ordine dei Predicatori si stabilì a Chieri intorno al 1250 e i Domenicani sono citati negli statuti civili del 1311.
Secondo il canone tipico degli Ordini mendicanti era a croce latina, con tre navate. Solo nel XV secolo si incorporarono le adiacenti cappelle laterali, occupando lo spazio tra i contrafforti che consolidavano la muratura. Il campanile, che con i suoi 52 m è il più alto della città, venne iniziato contemporaneamente alla chiesa, ed era sicuramente ultimato nel 1381, anno in cui il Comune elargì una somma per acquistare le campane.
Nell’arco della sua lunga storia la chiesa ebbe a subire numerose trasformazioni: la prima nel Quattrocento, con la costruzione delle cappelle laterali, poi tra il 1486 e il 1660 con la costruzione delle volte. La chiesa e il campanile conservano elementi in stile gotico.
Tra il 1427 e il 1434 la chiesa ospitò temporaneamente l’Università degli Studi di Torino a causa di avverse condizioni sanitarie in Città.
Nel 1802, con la soppressione degli Ordini religiosi decretata dalla Rivoluzione francese, il convento venne trasformato in ricovero per anziani religiosi di ogni congregazione. Con la Restaurazione fu il primo convento domenicano a riaprire in Piemonte, ma nel 1855 i frati dovettero nuovamente andarsene, questa volta per la soppressione degli Ordini religiosi imposta da Vittorio Emanuele II. L’edificio fu messo all’asta, acquistato dal Comune e, in sequenza, usato come collegio civico, come caserma e come riformatorio. Il ritorno definitivo dei frati avvenne nel 1871.
Alla chiesa si accede varcando un maestoso portale racchiuso da una cornice in cotto. Iniziando dalla navata di destra, la prima cappella è quella del Crocifisso, che conserva il nome del grandioso Crocifisso attribuito a Martino da Casale, oggi collocato nella sala capitolare. Seguono la cappella della Madonna di Lourdes (in origine semplice corridoio da cui si accedeva al “cortile dei morti” all’interno del convento) e la cappella di San Domenico, dominato dalla tela che raffigura il Sogno di San Domenico. La successiva cappella del Santo Rosario è una delle più sfarzose della chiesa. Intitolata alla Vergine delle Vittorie dopo la sconfitta della flotta turca a Lepanto nel 1571, è ornata dalla pregevole tela della Madonna col Bambino che porgono le corone del Rosario a San Domenico e Santa Caterina. Tutt’intorno, quindici “misteri” mariani. L’ultima cappella prima del presbiterio è dedicata a San Pietro Martire, di cui nel convento si conserva una pregevole e curiosa statua lignea (col capo del santo trafitto dalle lame degli eretici). L’altare maggiore è fiancheggiato da due cappelle: quella di destra è intitolata a San Vincenzo Ferrer, che soggiornò a lungo in Piemonte e forse anche a Chieri. A sinistra, invece, la cappella intitolata a San Tommaso d’Aquino, con la pala d’altare dipinta dal Lorenzone e la nicchia in cui si conserva la reliquia del cingolo del santo. Dalla cappella laterale di destra si accede alla sacrestia, che in origine era la tomba di famiglia dei Villa. È arredata con armadi e panconi settecenteschi in legno di noce, e vi è esposta una tela che raffigura Santa Maria Maddalena.
L’abside alle spalle dell’altare maggiore è decorata dal Moncalvo, che vi lavorò tra il 1605 e il 1615. I quattro spicchi della volta del coro sono dedicati agli Evangelisti, mentre le sottostanti lunette rappresentano due episodi della vita di San Domenico: La predicazione e La resurrezione di un fanciullo. A queste corrispondono in basso le due enormi tele della Moltiplicazione dei pani e della Resurrezione di Lazzaro. Nel catino absidale, incorniciati da preziosi stucchi seicenteschi, cinque medaglioni contengono i ritratti dei massimi santi dell’Ordine: da sinistra San Raimondo da Peñafort, San Tommaso d’Aquino, San Domenico, San Pietro Martire, San Vincenzo Ferrer. Sono invece di altra mano e più tardivi i riquadri inferiori che rappresentano, da sinistra, Santa Agnese da Montepulciano, San Giacinto, San Pio V, Sant’Antonino da Firenze, Santa Caterina de’ Ricci. Tra le finestre, le due statue in stucco di Santa Maria Maddalena e Santa Cecilia.
Passando alla navata di sinistra, e partendo dal campanile, la prima cappella che si incontra è quella di Santa Rosa da Lima, prima santa dell’America Latina. Per predisporla, nel 1668, fu necessario chiudere la cappella quattrocentesca di Santa Marta, alla base del campanile, dove si conservano affreschi quattrocenteschi che sono tra i più antichi di Chieri. La cappella successiva è intitolata a Santa Caterina da Siena: in una nicchia è conservata una preziosa statua settecentesca della Madonna del Rosario. Segue la cappella dedicata a San Giacinto, grande apostolo della Polonia, con la tela del 1607 e l’Annunciazione sulla parete a sinistra. L’ultima cappella che si incontra prima di uscire dalla chiesa è intitolata al Vescovo di Firenze Sant’Antonino. La grandiosa pala d’altare è una copia della Madonna del Rosario del Guercino che si conserva nella Chiesa di San Domenico a Torino. Subito di fronte, sul primo pilastro a sinistra entrando in chiesa, si trova l’affresco trecentesco della Madonna del Latte.

L’immagine della Vergine che allatta il Bambino è assai cara alle mamme Chieresi, ed è collegata a un evento miracoloso: si racconta che, per sfregio, un eretico colpisse al collo l’immagine con una lama, e che dalla ferita sgorgasse sangue.
La raffigurazione della Madonna nell’atto di allattare il Bambino, la cosiddetta Madonna del Latte, Virgo Lactans, è un’iconografia Cristiana a molto particolare e ricorrente nell’arte. Questo tipo di rappresentazione ha origini molto antiche e la sua raffigurazione ha subito numerose variazioni nelle diverse epoche storiche; inoltre è da sempre molto diffusa in Italia. Le fonti che esaltano l’allattamento si diffusero già a partire dal V secolo con il Concilio di Efeso (431), durante il quale venne finalmente stabilito che «la Santa Vergine è Madre di Dio, essendosi il verbo di Dio incarnato e fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il Tempio presso lei». L’allattamento da parte di Maria è quindi un atto straordinario, poiché la connota come madre e donna ed è importante come testimonianza del parto.
Questo modello iconografico si diffuse dall’Egitto copto alle Chiese orientali e nell’arte bizantina, con il nome greco di Galaktotrophousa. Dal mondo bizantino si estesero in seguito anche alla spiritualità etiopica, armena e franco-britannica, nonché negli scritti latini composti dal VI-XII secolo in poi, nei quali ella diviene un modello di castità e umiltà. In Europa e in particolare in Italia, questa rappresentazione si diffuse a partire dal XII secolo, in parte come conseguenza della Prima Crociata e trovando terreno fertile in tutte quelle aree che, grazie agli scambi commerciali, subirono maggiormente l’influenza bizantina.
La grande forza di questo tipo d’iconografia fu proprio quella di suscitare particolare devozione nelle donne, in particolare nelle partorienti. Durante l’esperienza cruciale del parto e durante i tristi periodi di povertà, queste si rivolgevano alla Vergine pregando di avere il latte necessario per poter sfamare le loro creature. Il culto si diffuse molto in Europa Occidentale dove ancora ritroviamo l’usanza di custodire come reliquie, all’interno delle chiese, ampolle contenenti il latte della Madonna (il Sacro Latte), cui si attribuivano gli effetti miracolosi di restituire il latte alle partorienti che lo avessero perso.
L’immagine della Vergine che allatta il Bambino, importantissima per la duplice natura di Maria come procreatrice e vergine, divenne un modello importantissimo poiché elevava la posizione della donna sia nel ruolo civile che religioso.
Nel Quattrocento, alla rappresentazione della Madonna del Latte si associarono nuovamente concetti preesistenti quali lo sgorgare del latte come segno di trasmissione della sapienza: San Bernardo da Chiaravalle diffuse il suo culto sostenendo di aver ricevuto il latte di Maria, simbolo di divina conoscenza e cibo dell’immortalità.
Il culto della Madonna del Latte ha avuto una notevole fortuna, poiché, traendo origine dalle reminiscenze di antichi culti sulla fecondità, li ha assorbiti nella femminilità della Madonna, ammantando di sacralità la quotidianità dei rapporti affettivi, sempre presenti concettualmente, poi anche iconograficamente.
