Partecipando a delle celebrazioni, tra cui per la solennità del Corpo e Sangue del Signore e per i festeggiamenti dei santi patroni, e contribuendo ad iniziative di beneficenza, i membri della Sacra Milizia Costantiniana hanno vissuto concretamente i temi centrali del Giubileo della Speranza. Le omelie dei vescovi, in particolare, hanno rafforzato la loro missione, invitandoli a portare il pane della carità, della fraternità e della pace in un mondo ferito, in sintonia con i principi dell’Ordine Costantiniano.
Queste attività hanno offerto ai Cavalieri, alle Dame e ai Postulanti della Delegazione della Toscana un’opportunità tangibile per riflettere sulla loro vocazione di servizio e per prepararsi spiritualmente all’incontro giubilare Costantiniano a Roma, dove celebreranno la loro fedeltà a Cristo e all’impegno di rendere la loro vita una festa attraverso l’amore e la solidarietà.



Siena, maggio-giugno 2025
Donazione
a favore della Croce Rossa Italiana
Nel corso della primavera 2025, raccogliendo l’invito di S.Em.R. il Signor Cardinale Augusto Paolo Lojudice, Arcivescovo Metropolita di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, i membri della Delegazione della Toscana hanno contribuito all’acquisto di un nuovo mezzo di trasporto per il Comitato di Siena della Croce Rossa Italiana (CRI). Il veicolo sarà utilizzato per l’assistenza alle famiglie più bisognose dell’Arcidiocesi. La cerimonia di consegna ufficiale si è tenuta nel mese di giugno, con la partecipazione del Referente per la Toscana Orientale (città e province di Arezzo e Siena, Alto Valdarno e Chianti), Roberto Bianchini, Cavaliere di Merito.
Il Presidente del Comitato di Siena del CRI, Pasquale Albano, ha ringraziato i confratelli Costantiniani per la loro generosità. Nell’esprimere la riconoscenza della Delegazione e il vivo apprezzamento del Delegato, Rag. Carlo Testi, Cavaliere Gran Croce di Merito, a quanti hanno contribuito alla raccolta del donativo, si ringrazia in particolar modo Enrico Petrini, Cavaliere di Ufficio, che si è fatto promotore dell’iniziativa, e quanti – Cavalieri, Dame, Postulanti e amici della Sacra Milizia – con la loro partecipazione, hanno reso possibile il buon esito della raccolta.



Arezzo, 19 giugno 2025
Celebrazione
della solennità del Corpus Domini
Aderendo all’invito di S.E.R. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, una rappresentanza della Delegazione della Toscana ha partecipato giovedì 19 giugno 2025 alle celebrazioni per la solennità del Corpo e Sangue del Signore ad Arezzo. Dopo la Santa Messa in cattedrale, i Cavalieri, le Dame e i Postulanti Costantiniani hanno partecipato alla Processione per le vie del centro cittadino, fino alla chiesa di San Domenico, ricevendo il ringraziamento di Mons. Migliavacca per la loro costante vicinanza alla diocesi aretina.
Nella sua omelia (di cui riportiamo di seguito il testo integrale), Mons. Migliavacca ha evidenziato il significato profondo del “portare il pane”. Ha spiegato che questo non si riferisce solo al pane materiale, ma anche al dono della propria vita, del servizio e della carità. La processione non è un’esibizione, ha sottolineato, ma un atto umile e fraterno per portare il pane della vita nella città, nelle case e in luoghi di carità come la mensa della Caritas, la casa di riposo e persino il carcere, dove si porta “il pane della presenza e della fraternità”.
Inoltre, Mons. Migliavacca ha richiamato l’attenzione sulla necessità di portare il “pane della pace e della fraternità” in luoghi di conflitto come Gaza, il Medio Oriente, l’Ucraina e la Russia, dove la guerra continua a seminare violenza e morte.
Ha concluso esortando a nutrirsi anche del pane spirituale, l’Eucaristia, per non morire di “anoressia spirituale” e per portare Gesù, il pane della vita eterna, nella vita di tutti i giorni.






Pistoia, 19 giugno 2025
Celebrazione
della solennità del Corpus Domini
Aderendo all’invito del Vescovo di Pistoia, S.E.R. Monsignor Fausto Tardelli, una rappresentanza della Delegazione della Toscana, guidata da Don Cristoforo Mielnik, Cappellano di Merito, ha partecipato giovedì 19 giugno 2025 a Pistoia alle celebrazioni per la solennità del Corpo e Sangue del Signore. Dopo la Santa Messa, i Cavalieri, Dame e Postulanti Costantiniani hanno partecipato alla Processione per le vie del centro cittadino.
Nella sua omelia, durante la Concelebrazione Eucaristica con i Canonici del Capitolo della Cattedrale, i frati del Convento di San Francesco, il Parroco della Città e gli altri sacerdoti, Mons. Tardelli ha ricordato che nel pane e nel vino Gesù si dona a noi, diventando così vicino da “essere dentro di noi”. Ha invitato a riflettere su tre aspetti: il pane e il vino della vita eterna, della condivisione e comunione fraterna, e della speranza. Ha sottolineato che il cibo della moltiplicazione dei pani sazia “la fame di vita che alberga nel cuore di ogni uomo”. Nutrendosi del pane e del vino, i fedeli alimentano la speranza che il mondo possa essere trasformato e diventare migliore. “Il pane e il vino sono il corpo di Gesù, ed in essi, Lui si mostra come colui che si dona a noi”. Nella forma legata all’alimentazione, ha ricordato Mons. Tardelli, Egli dimostra di voler esserci talmente vicino, da essere dentro di noi affinché, partecipando con il pane e il vino, possiamo diventare come Lui.
Tre sono gli aspetti sui quali Mons. Tardelli ha invitato a soffermarsi: il pane e il vino della vita eterna, quella che dura per sempre; il pane e il vino della condivisione e della comunione fraterna; e il pane e il vino della speranza.
Nel Vangelo della moltiplicazione dei pani, il cibo viene condiviso, rivelando la vera proposta di Gesù, dove il prodigio sazia la fame di vita che alberga nel cuore di ogni uomo.
Il frutto della terra e del lavoro dell’uomo diventa cibo e bevanda di salvezza, presenza tangibile di Gesù che dà forza per credere che il mondo possa essere davvero trasfigurato, diventare migliore, e che noi stessi, per opera dello Spirito Santo, possiamo esserne santificati e vivere una vita nuova.
“Nutrendoci di questo pane e questo vino, noi alimentiamo la speranza”: con queste parole, Mons. Tardelli ha esortato i fedeli a non lasciarsi scoraggiare dai mali della società e a proseguire con fiducia nel mistero grande dell’amore che ci sorregge nella vita.





Pistoia, 25 luglio 2025
Solenni celebrazioni
in onore di San Jacopo il Maggiore
Patrono della Città
Aderendo all’invito del Vescovo di Pistoia, S.E.R. Monsignor Fausto Tardelli, una rappresentanza della Delegazione della Toscana, guidata dal Referente per la Toscana Centrale (città e provincia di Pistoia), Col. Tommaso di Niso, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, e da Don Cristoforo Mielnik, Cappellano di Merito, ha partecipato venerdì 25 luglio 2025 nella cattedrale di Pistoia alle solenni celebrazioni in onore di San Jacopo il Maggiore, patrono della Città.
S.E.R. Mons. Tardelli, tramite il Cav. Col. Di Niso ha ringraziato la Delegazione della Toscana e l’Ordine Costantiniano tutto per la vicinanza dimostrata anche quest’anno alla Diocesi di Pistoia, nel ricordo del pellegrinaggio fatto nel giugno 2021 dalla Sacra Milizia Costantiniana in occasione del Giubileo Jacopeo [QUI], ancor più vivo nell’anno del Giubileo della Speranza.
Nella sua omelia (di cui riportiamo di seguito un ampio stralcio), Mons. Tardelli ha paragonato la persecuzione dei primi Cristiani, che erano Ebrei odiati da altri Ebrei per aver creduto in Gesù, alla situazione attuale in Terra Santa. Ha denunciato che la terra, sebbene “santa perché scelta da Dio per rivelarsi”, è ancora insanguinata dall’odio e dalla vendetta. Ha ribadito che l’unica via per salvare il mondo dall’autodistruzione è quella dell’amore fraterno, predicata da Cristo, e ha menzionato la parrocchia Cristiana di Gaza come un simbolo di speranza in mezzo alle rovine.




Arezzo, 7 agosto 2025
Celebrazioni per San Donato
Patrono della Città
Una rappresentanza della Delegazione della Toscana ha partecipato giovedì 7 agosto 2025 ad Arezzo alle celebrazioni per San Donato, patrono della Città.
Nella sua omelia (di cui riportiamo di seguito il testo integrale), S.E.R. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha riconosciuto il desiderio delle persone di fare festa, pur in un mondo segnato da guerre e ingiustizie. Si è interrogato su come sia possibile celebrare quando si pensa a ciò che accade in Ucraina, a Gaza, o alla minaccia di una guerra nucleare. Ha affermato che la festa è possibile non per ragioni umane, ma grazie alla presenza di Gesù, il “buon pastore” che porta vita, solidarietà e speranza.
Il compito di un vescovo, ha spiegato, è annunciare a tutti che il Signore è presente e che per questo motivo la vita può essere una festa.



Arezzo, 15 agosto 2025
Fiaccolata
in onore di Santa Maria Assunta
In occasione della solennità dell’Assunzione in Cielo della Beata Vergine Maria, una rappresentanza della Delegazione della Toscana ha partecipato venerdì 15 agosto 2025 ad Arezzo alla recita del Santo Rosario e alla Fiaccolata presiedute da S.E.R. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro.
I Cavalieri Costantiniani hanno scortato la statua della Vergine in Processione dalla pieve di Santa Maria Assunta fino a piazza Grande di Arezzo.
Il Vescovo Migliavacca, evidenziando l’importanza della Fiaccolata, si è detto “meravigliato dalla partecipazione di tanti fedeli”.
Omelie

Omelia di S.E.R. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, per la celebrazione della solennità del Corpus Domini ad Arezzo il 25 luglio 2025
C’è un pane da portare, c’è un pane che siamo chiamati a portare: è quanto viene messo in luce e richiamato dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato.
È quel pane che bisogna portare, che Melchisedek, Re di Salem, offrì come segno e dono sacerdotale, come dono per il popolo.
È quel pane, che bisogna portare, che la pagina di Vangelo ci dice essere capace di sfamare una moltitudine di genti; e la parola di Gesù mette bene in luce qual è quel pane che dobbiamo portare, che siamo chiamati a portare, dicendo “voi stessi date loro da mangiare”, quasi lasciando intuire che il pane non è solo quello che viene portato in cibo, ma è il dono della vita, è il servizio, è il dare la propria vita.
Dobbiamo portare il pane: il pane che è la nostra vita.
Allo stesso modo, nella Seconda Lettura, nella pagina di Paolo che abbiamo ascoltato, quel portare il pane che Gesù stesso prende, spezza, benedice e dà per i suoi discepoli, diventa memoriale del suo dono, del suo sacrificio sulla croce per noi, oggi, l’Eucaristia, quel pane consacrato che rende presente il Signore in mezzo a noi; e a noi oggi viene detto che dobbiamo portare il pane e la processione che vivremo tra poco non vuole essere un’esibizione, una dimostrazione della forza, della decisione della nostra fede; ma la processione vuole essere un segno fraterno e umile di chi porta il pane nella vita della città, in mezzo alla gente, nelle nostre vie, per le case delle nostre famiglie.
Ecco: una processione che ci regala il portare il pane, come la parola di Dio mette in luce. Allora, che cosa può voler dire, per noi, questo portare il pane, portare il pane che è la nostra vita, che è la nostra carità, che è il nostro servizio?
Portare il pane che è l’Eucaristia celebrata, presa, mangiata, adorata e, soprattutto, vissuta con vite eucaristiche che davvero sono quelle che portano il pane del Signore, è un cammino.
La processione che questa sera ci regala di portare il pane, Gesù, il Risorto per le strade della nostra città che cosa racconta? Che cosa diventa, per noi, il portare il pane?
È anzitutto il portare il pane della fraternità e della comunità.
Ci apprestiamo, carissimi, in questi giorni – lo sappiamo bene – a vivere la Giostra del Saracino; i quartieri sono in fermento, ci sono le prove, le cene, ci sarà sabato la gara, ci sarà un quartiere che vincerà ma tutti partecipano. È un piccolo segno che dice la vita della città, la vita della città che si ritrova, che vive un momento di festa, di incontro, in qualche modo un momento simbolico della vita della città di sempre.
E noi dobbiamo portare il pane, cioè dobbiamo portare quel pane che fa crescere l’amicizia, la fraternità, il rispetto reciproco, la legalità nella vita pubblica, la fraternità che cresce; c’è da portare il pane nella vita della città perché davvero il nostro incontrarci, le piazze, le nostre vie, il luogo del gioco, i quartieri, la vita, le case delle nostre famiglie, diventino il luogo dell’amicizia e dell’incontro, del perdono e della fraternità.
Dobbiamo portare il pane per portare, per regalare, per far crescere questa fraternità; ma, ancora, dobbiamo portare quel pane che è il pane della carità: e la processione che vivremo attraverserà alcuni luoghi che realmente, simbolicamente, ci racconteranno e ci faranno incontrare dei luoghi di carità.
Proprio qui accanto, partendo da San Domenico, dal luogo dove c’è la mensa della Caritas, un primo luogo di carità: e qui davvero si porta il pane; ma poi, andando poco oltre, incontreremo la casa di riposo, e lì la vita di chi è più affaticato, più solo, magari malato, anziano: e anche quello è un luogo di carità nel quale portare il pane della vita e della fraternità.
Poi, prima di arrivare al luogo della benedizione, ci soffermeremo nel carcere, che è un luogo di fraternità ed è un luogo benedetto nella vita della nostra città: e vorrei da qui salutare davvero tutti i carcerati; nel carcere portiamo il pane, portiamo il pane della nostra presenza, della nostra preghiera, il pane della carità, della fraternità con tutti; di una fraternità che è vera e che dobbiamo far crescere anche con chi ha sbagliato nella vita. Una fraternità che ritrova, in particolare, come luogo e come segno giubilare, il carcere, luogo in cui incontriamo il Signore. Ricordate, Gesù aveva detto: “ero carcerato e mi avete visitato: l’avete fatto a me”; e li portiamo il pane, portiamo il pane della presenza del Signore e della nostra fraternità.
Portare il pane, allora, in tutti questi luoghi che incontreremo nel nostro cammino sarà il portare il pane della carità.
Il pane è frutto della terra e noi possiamo portare il pane perché c’è il frumento, il grano, ci sono i campi, l’acqua che scende dal cielo; c’è chi coltiva il terreno, chi lavora… cioè: è frutto del lavoro della terra e dell’uomo, come diciamo nell’offertorio; ed è il pane che ci regala la bellezza della creazione di un Dio che è creatore, che è portatore della vita.
Dobbiamo, allora, portare il pane nella casa comune che è l’ambiente, che è la creazione che siamo chiamati a custodire, a promuovere, a rispettare, a vivere con l’armonia della nostra vita e, soprattutto, con la lode, con la gratitudine. Portiamo il pane e ci racconterà la bellezza della vita e della creazione.
Infine, siamo chiamati a portare il pane anche nel nostro mondo. Lo possiamo fare davvero, lo possiamo fare almeno con la nostra fede, con la nostra preghiera, con la nostra carità. Dobbiamo portare il pane nel nostro mondo, in particolare a Gaza, dove ancora vengono tragicamente violentati e segnati dalla violenza e dalla brutalità della guerra coloro che sono innocenti, bambini: portiamo il pane a Gaza e diciamolo forte perché noi e il mondo non si dimentichi di Gaza e di quello che accade, che il cardinale Pizzaballa ci racconta come situazione vergognosa, inaccettabile, ingiusta.
Dobbiamo portare il pane a Gaza, dovremmo portarlo veramente lì, dove la fame viene ancora usata come arma di guerra; dobbiamo portare il pane a Gaza, che è il pane della pace e della fraternità; dobbiamo portare il pane in tutto il Medio Oriente, in Israele, Palestina, in Iran; dobbiamo portare il pane riconoscendoci tutti fratelli e chiedendo ad alta voce la pace, non la forza delle armi e della guerra, non la violenza e la brutalità della morte e della parola del potente, del più forte, ma la pace; e dobbiamo portare il pane della fraternità e di chi nella pace ci crede ancora, dobbiamo portare il pane in Ucraina, in Russia: perché questi popoli fratelli tornino ad essere fratelli, a vivere nell’amicizia, nel rispetto reciproco e nella pace.
E poi potremmo girare il mondo: dovremmo portare il pane in Congo, ad Haiti, in America Latina, in tutti quei luoghi in cui ancora la guerra semina violenza e morte.
Amici, dobbiamo portare il pane della pace e della fraternità; il pane che è il Signore risorto che a tutti, incontrandoli e incontrandoci, dice “Pace a voi”.
Siamo chiamati a portare non la pace del mondo, ma la pace del Signore, la pace del Risorto; e questo pane, che è l’Eucaristia, ci chiede di essere portatori del pane e della pace che il Signore ci ha consegnato, ci ha dato e ha affidato a noi e alla Chiesa.
Chiamati a portare il pane, che è il pane della pace; ma non dimentichiamoci di portare questo pane anche a noi stessi: rischieremmo di morire di “anoressia spirituale” se non prendessimo anche noi questo pane, che è il pane della vita, che è l’Eucaristia, che è il Signore presente in mezzo a noi e che ci dà quella vita che è la vita eterna.
Ci nutriremo tra poco di questo pane che è l’Eucaristia, lo porteremo nella processione: ma portiamo il pane nella vita di ogni giorno; il pane che è il Signore Gesù che è la vita eterna.

Dall’omelia di S.E.R. Mons. Fausto Tardelli, Vescovo di Pistoia, per le solenni celebrazioni in onore di San Jacopo il Maggiore a Pistoia il 25 luglio 2025
Un Ebreo, Jacopo, ucciso da un altro Ebreo che allora deteneva il potere, pur controllato da Roma, il Re Erode. Questi scatenò una persecuzione nei confronti dei discepoli di Cristo e, come dice ancora il testo degli Atti degli apostoli, per far piacere ad altri Ebrei, mise in prigione anche Pietro, Ebreo circonciso pure lui.
I primi Cristiani furono tutti Ebrei, tutti gli apostoli lo erano. Ebrei però odiati da altri Ebrei solo perché avevano creduto a Gesù come il Messia promesso nelle scritture, come il figlio unigenito di Dio, Dio stesso venuto a cercarci per liberarci dai peccati. Questi Ebrei della prima ora si sforzavano di seguire Gesù e il suo messaggio di amore: “Amate anche i vostri nemici, e pregate per quelli che vi perseguitano”.
Per questo, paradossalmente, furono odiati dai propri stessi fratelli e in particolare dalla classe dirigente del popolo ebraico, farisei, scribi e dottori della legge.
Una storia di 2000 anni fa eppure attualissima. Perché è la stessa storia che oggi si ripete. Ancora quella terra, santa perché scelta da Dio per rivelarsi, è insanguinata dall’odio, dal risentimento, dalla vendetta. E ancora c’è di mezzo una parte del popolo ebraico e i suoi dirigenti. E ancora, il messaggio di pace, di perdono e di pace predicato da Gesù e da lui incarnato in parole ed opere, non è accolto, è rifiutato, è giudicato impossibile a realizzarsi. Ebrei da una parte, Musulmani dall’altra e nel mezzo odio senza fine, incapacità di dialogo, chiusura totale a prendere in seria considerazione le ragioni dell’altro, totale refrattarietà a cercare verità e giustizia. Come conseguenza: sangue di tante persone innocenti, soprattutto bambini versato a fiumi e infinito dolore che durerà a lungo.
Noi Cristiani, anche se inascoltati, come accade a Papa Leone XIV oggi ma come accadeva anche a Papa Francesco, continuiamo però a gridare: Pace! Si fermi la guerra! Cessino i combattimenti, le rappresaglie, le azioni terroristiche! Con tutta la voce che abbiamo in gola gridiamo: Basta! Basta uccisioni! Basta odio! L’unica via è quella segnata da Gesù Cristo: la via dell’amore fraterno, fino ad arrivare persino all’amore verso il nemico! È l’unica via che può salvare il mondo dall’autodistruzione.
La vicenda della parrocchia cristiana di Gaza è emblematica: in mezzo alla rovina, quel piccolo resto di Cristiani grida pace e la semina, nonostante tutto e rimane nella sua fedeltà a Cristo, un porto di speranza aperto a tutti.

Omelia di S.E.R. Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, per le celebrazioni in onore del patrono San Donato ad Arezzo il 7 agosto 2025
Tanta gente ieri sera, alla offerta dei ceri, in Cattedrale e poi per il brindisi in vescovado e infine a gustare i fuochi d’artificio. E tanta gente anche oggi, giorno della festa di San Donato, vescovo e martire e nostro patrono. Ho visto i colori dei costumi di diversi gruppi folcloristici e di aggregazione della nostra diocesi e poi i quartieri e i vari responsabili della Giostra. C’erano le Istituzioni civili e militari. Si potevano scorgere volti giovani e altri segnati dalla vita, bambini e famiglie… Qui, insieme… per fare festa.
Si respirava ieri sera e anche oggi la voglia di fare festa; abbiamo bisogno di fare festa.
È lo spirito che ci ha accompagnato con i giovani a Roma per il Giubileo nei giorni scorsi, una grande festa di giovani e di Chiesa, con il culmine vissuto a Tor Vergata, in un clima di gioia e anche di preghiera.
La gente ha voglia di fare festa, ma come farlo in un mondo segnato dalla violenza, dalle ingiustizie sempre più grandi e dalla guerra. Come fare festa se volgiamo lo sguardo a chi soffre in Ucraina per i bombardamenti? Come fare festa se ci turba ogni giorno e ci lascia sconcertati e senza parole quello che sta accadendo a Gaza e nella Cisgiordania, con l’uccisione ingiustificata di palestinesi innocenti, anche bambini e la fame e la carestia usate come armi di guerra e annientamento? Come fare festa in questi giorni quando ricordiamo gli ottant’anni dallo sganciamento della prima bomba atomica su Hiroshima con la tragedia che ha provocato e in un tempo in cui Paesi come il nostro non sottoscrivono ancora un accordo di deterrenza nucleare e anzi nel mondo è sempre più potente la minaccia di una guerra nucleare? Come fare festa?
La gente ha voglia di fare festa, ma come farlo quando perdiamo nella società e nella cittadinanza la capacità di rispettare tutti, di promuovere forme di accoglienza, di farsi vicino ai più poveri, di riconoscere come dono i luoghi dove i bisognosi sono accolti per un ristoro, per avere protezione, facendo crescere tra noi forme diverse di solidarietà.
La gente ha voglia di fare festa, ma come farlo quando come Chiesa non sappiamo testimoniare la bellezza e la gioia del vangelo, parlando di Gesù, facendo incontrare Lui, quando non crescono vocazioni a donare la vita nel matrimonio e nella vita consacrata e sacerdotale? Come fare festa quando le nostre comunità ecclesiali e parrocchiali fanno fatica a testimoniare la capacità di camminare insieme, in una esperienza sinodale?
La gente ha voglia di fare festa, ma come farlo se le realtà del lavoro sono messe a dura prova e le famiglie fanno fatica a sostenere le proprie necessità, facendo fatica a guardare con sufficiente fiducia al futuro.
La gente ha voglia di fare festa, ma come farlo quando una famiglia si disgrega, dall’amore si passa all’odio e alla sfida e sempre più difficile e accogliere la vita dal suo sorgere fino alla sua naturale conclusione. E come farlo quando vediamo anche il nostro mondo e l’ambiente, la creazione in cui viviamo ferita e messa in pericolo?
La gente vuole fare festa, ma come farlo? E oggi noi viviamo la festa di San Donato e vogliamo fare festa davvero.
Possiamo fare festa veramente, anche in un mondo con tutte le difficoltà, contraddizioni e fragilità che abbiamo ricordato. E ci aiuta a capire la Parola di Dio.
Essa ci ha consegnato l’immagine del Pastore, del buon (bel) pastore.
È una immagine che ci consegna il racconto di una dedizione e di una cura che accompagna tutti noi e che è costantemente promessa. Il pastore buono porta a ricchi pascoli, custodisce dai pericoli, va in cerca della pecora che si perde, protegge il suo gregge. Vuol dire: il pastore è presente, è in mezzo, sta con il suo gregge, c’è!
Allora davvero possiamo fare festa. L’annuncio, il segreto è che la festa che vogliamo vivere non è quella motivata da ragioni umane di allegria, ma nella scoperta di una presenza, Gesù vivo e risorto, il vivente e il salvatore.
Con lui la vita è festa perché di fronte alla guerra porta tante testimonianze e annunci di fraternità e di perdono; è festa perché fa crescere tra di noi la solidarietà di chi si accoglie e si rispetta; è festa perché fa vivere la Chiesa e la rende unite e autentica, attraendo nuove belle vocazioni; è festa perché ogni esperienza diventa luogo di vita e speranza per il futuro; è festa perché Lui, la Vita, porta a tutti noi la vita vera.
Il compito di un vescovo, come San Donato, è proprio questo: andare a dire a tutti, nella città e nelle nostre vallate, a chi sorride e a chi piange, a chi è in pace e a chi è in guerra che si può vivere, che il Signore, il buon pastore è con noi e allora tutto può diventare festa.
San Donato è morto come martire, per amore del vangelo. Ricordarlo come martire significa riconoscere oggi che la sua è stata davvero una vita come festa, e la fine tragica non ha spento i germogli della festa.
Auguri cari amici e l’auspicio che San Donato proteggendoci ci aiuti a scoprire, e non solo a chiedere, che la nostra vita è già una festa… perché Lui, il Signore, è con te.
Venti domande e risposte sul Giubileo Ordinario 2025, sul Pellegrinaggio Costantiniano Internazionale e sul solenne Pontificale in onore di San Giorgio Martire, nell’Anno Santo 2025 per i Cavalieri, le Dame, i Postulanti e gli Amici del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.