L’incontro prenatalizio a Veroli della Sezione dell’Abbazia di Casamari della Delegazione Tuscia e Sabina

Nel pomeriggio di sabato 21 dicembre 2024, vigilia della IV Domenica di Avvento, la Sezione dell’Abbazia di Casamari della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha svolto il tradizionale incontro prenatalizio e di fine anno presso il suggestivo monastero cistercense nel comune di Veroli in provincia di Frosinone nel basso Lazio, la cui fondazione risale alla prima metà dell’XI secolo, sulle fondamenta di un tempio pagano, dedicato a Marte, nel territorio dell’antico insediamento romano di Cereatae Marianae nei pressi di Arpino patria del console romano Caio Mario cui si riporta la denominazione di Casamari, Casa di Mario. La Rappresentanza Costantiniana presso l’abbazia di Casamari fu creata nel 2012, per motivi storici nell’ambito della Delegazione della Tuscia e Sabina, con l’assenso del Presidente della Real Commissione per l’Italia dell’Ordine Costantiniano, affidata alla cura del Padri Cistercensi.
Chiesa interno

A cura dei Padri Cistercensi ogni anno vengono celebrate presso la basilica di San Domenico in Sora, due solenni Sante Messe in memoria delle L.L. M.M. Re Ferdinando II e Francesco II, Sovrani delle Due Sicilie e Gran Maestri della Sacra Milizia. La prossima Santa Messa, in memoria del Servo di Dio Francesco II di Borbone verrà celebrata sabato 25 gennaio 2024 alle ore 18.00.

La celebrazione della Santa Messa vespertina di sabato 21 dicembre 2024 è stata presieduta alle ore 17.00 nella chiesa abbaziale dal Referente per l’Abbazia di Casamari della Delegazione della Tuscia e Sabina, Prof. Padre Pierdomenico Volpi, S.O.Cist., Cappellano di Merito, a cui hanno partecipato Cavalieri, Dame, Postulanti e amici, guidati da Angelo Musa, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento.

Prima Lettura (Mic 5,1-4a – Da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele), il Salmo Responsoriale (Sal 79 (80) – Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi) e la Seconda Lettura (Eb 10,5-10 – Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà) sono state recitati Maria Antonietta Visca, Dama di Ufficio. La Preghiera dei fedeli è stata recitata da Enrico Menenti Savelli, Cavaliere di Ufficio.

Il Vangelo (Lc 1,39-45 – A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?) è stato proclamato dal Cappellano Padre Domenico Volpi, che ha anche tenuto l’omelia, che riportiamo di seguito:

«Fra qualche giorno ricordiamo e riviviamo il giorno della nascita del Salvatore del mondo.
Parole che più volte abbiamo ascoltato, magari distrattamente, nonostante siano parole parte della nostra fede. Infatti, quando si tratta di comunicare la fede, spesso si è presi da un senso di imbarazzo questo perché, soprattutto oggi, chi parla di fede viene preso per una persona fuori dal tempo specialmente quando si parla del Natale.
Per farmi capire, ricordo l’apologo del pagliaccio e del villaggio in fiamme di un famoso filosofo danese. La storiella racconta di un circo viaggiante in Danimarca che fermatosi alle porte di un villaggio, ad un tratto prende fuoco. Il direttore manda il pagliaccio, già vestito per la sua recita, a chiedere aiuto agli abitanti del villaggio anche perché vi era il serio pericolo che prendessero fuoco i campi e la stessa cittadina. Giunto nella piazza del paese il pagliaccio si mette a gridare il pericolo incombente supplicando gli abitanti di accorrere, al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le parole del pagliaccio come un trucco per attirare il maggior numero di persone allo spettacolo per cui lo applaudivano e ridevano fino a lacrimare. Il povero pagliaccio arrivò a piangere perché sapeva di dire la verità ma, più piangeva, e più gli abitanti ridevano. La pagliacciata continuò finché il fuoco, dopo aver distrutto il circo, distrusse anche il villaggio e ogni aiuto fu inutile.
Chi cerca di parlare di Dio, oggi, non riesce a far sì che le sue parole vengono ascoltate; anch’egli vestito stranamente proprio come un clown, non viene preso sul serio anzi si sa già in anticipo che racconterà le solite cose che bisogna ascoltare ma tutto finirà in una risata magari perché si ha pietà del pagliaccio. Ma, nonostante ciò, un buon “pagliaccio” sa benissimo che dietro a tanti pregiudizi è stato chiamato ad annunciare un messaggio di salvezza che si chiama Buona Novella affinché tutto non venga bruciato.
Anche colui che appartiene ad un Ordine cavalleresco può sembrare un pagliaccio, ma non per questo smette di annunciare la propria fede, non a parole ma con la testimonianza della propria vita: nel lavoro, nella famiglia nel Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
C’è qualcosa che non può non colpirci nella nascita di Gesù, in quest’ingresso del bene nel mondo e che ci fa porre almeno qualche domanda: ma il grande evento del Natale è davvero accaduto là nella stalla di Betlemme o è una favola per bambini? La nascita di Gesù, il sole che sorge sulla storia, non dovrebbe riempire tutta la terra del suo splendore invece sembra che tutto sia buio? Purtroppo non è stato così allora e non è così oggi perché per molti la religione si è come sciolta in uno stato d’animo sentimentale dietro al quale non vi è più nessuna realtà, perché è spenta la fede dalla quale, un giorno, era nato quel sentimento.
Concretamente le luci del Natale ci piacciono, come l’albero e il presepe ma non si sa più perché vengono preparati. In realtà, però, a Betlemme Dio ha posto per sempre il segno della sua piccolezza in un bambino, come distintivo fondamentale della sua presenza in questo mondo. Ecco, la decisione da prendere nel Natale è viverlo nella Fede cioè noi accogliamo Dio in questo segno del Bambino e ci fidiamo di lui senza mormorare. Fede trasmessa dalle generazioni che dal giorno di quella nascita si sono succedute e l’hanno trasmessa a noi. La fede è una strada aperta a tutti e per accedervi non è necessario pagare un pedaggio se non fidarsi di Dio. A proposito della fede si afferma che alcune specie di dinosauri si siano istinti perché si erano sviluppati in modo sbagliato: molta forza nel corpo ma poco cervello, molti muscoli ma poca mente. Non ci stiamo anche noi sviluppando in modo sbagliato: molta tecnica ma poca anima? Una spessa armatura di possibilità materiali ma un cuore vuoto?
Grandi o piccoli che siamo, sembra che con il passare del tempo si spegne la capacità di riconoscere la voce di Dio e in lui di riconoscere quanto c’è di bello, di bene, di vero anche nella nostra vita. Il Natale ricorda che l’unico che può riempire i nostri vuoti è proprio il Bambino che nacque a Betlemme e bussa continuamente per entrare nel nostro cuore. Tanti, troppi, non aprono magari perché aspettano qualche miracolo ma come scrive Dante nel XXIV Canto del Paradiso: “Se l’umanità si convertì senza bisogno di miracoli/ questo da solo è un miracolo tanto eccezionale/ che qualunque altro non ne vale la centesima parte”.
Quindi il miracolo più grande è che, nonostante tutto: persecuzioni, guerre, genocidi e nonostante tutti: infedeltà, scandali, crimini di pastori della Chiesa, oggi noi ricordiamo questa Nascita divina. L’augurio che faccio a me e a voi sono le parole del Salmo 3: “Non temiamo, non lasciamoci cadere le braccia: il Signore nostro Dio è in mezzo a noi”».

Al termine della Santa Messa, il Cav. Angelo Musa ha recitato la preghiera del Cavaliere Costantiniano.

A seguire si è tenuta una riunione conviviale presso l’antico e storico Palazzo Filonardi di Veroli, nel meraviglioso centro storico della città, nella quale il Cappellano Padre Volpi ha impartito la benedizione della mensa, incoraggiando i Cavalieri, le Dame e i Postulanti ad una assidua presenza alla vita della Sacra Milizia.

L’Abbazia di Casamari

La fondazione dell’abbazia di Casamari, nel comune di Veroli, provincia di Frosinone nel basso Lazio, risale alla prima metà dell’XI secolo quando alcuni seguaci del Benedettino Domenico da Foligno – che negli stessi anni aveva lasciato il cenobio cassinese e organizzato alcuni monasteri a Sora e nei dintorni – con l’intento di costruire una comunità monastica benedettina, avviarono intorno al 1036 la costruzione di un monastero sulle fondamenta di un tempio pagano, dedicato a Marte, nel territorio dell’antico insediamento romano di Cereatae Marianae nei pressi di Arpino patria del console romano Caio Mario cui si riporta la denominazione di Casamari, Casa di Mario.

La comunità di Casamari si caratterizza sin dagli esordi come un vivace centro spirituale e culturale. Sotto l’Abbate Agostino I (1090 circa) l’autorità del monastero si estende sul circondario. Circa un secolo più tardi, su impulso di Papa Eugenio III, il cenobio di Casamari abbraccia la riforma Cistercense. Nel periodo compreso tra il 1143 e il 1152, la riforma intende riportare alla stretta osservanza della Regola di San Benedetto una realtà in piena decadenza economica e spirituale.

L’abazia di Casamari rifiorisce grazie al lavoro dei monaci Cistercensi, impegnati nella liturgia, nel lavoro manuale, nell’attività di trascrizione e studio dei codici. La biblioteca abbaziale include codici di carattere liturgico, esegetico, patristico e opere di autori classici. La mobilità dei monaci Cistercensi consente una circolazione di libri, pratiche, idee: intorno al 1180, l’abbazia di Casamari ospita il confratello Gioacchino da Fiore.

A cavallo tra il XII e il XIII secolo, l’Abate Giraldo promuove il rinnovamento architettonico del monastero e l’espansione dell’Ordine Cistercense nell’Italia centro-meridionale, dove le filiazioni di Casamari comprenderanno comunità in Toscana, Calabria, Basilicata, Sicilia. Nel XIII secolo, l’abbazia prospera sotto la protezione di Federico II, e di Papa Innocenzo III e Papa Onorio III, che inaugura nel 1217 la chiesa dell’attuale complesso abbaziale, che rappresenta uno dei più straordinari esempi di architettura gotico-cistercense dell’Italia meridionale, edificato in un arco relativamente breve di tempo.

Dopo il periodo di splendore, Casamari si avviò ad un lento declino. La vitalità spirituale, economica e culturale dell’abbazia di Casamari si spegne progressivamente a partire dall’inizio del XV secolo. Nel 1430, Papa Martino V affida il monastero ad un cardinale commendatario. Per quasi due secoli, la comunità sarà affidata ad un abate non residente, raramente interessato alle sorti della vita del monastero. Il grande complesso abbaziale di Casamari si spopola: all’inizio del Seicento ospita solo otto monaci. A stimolarne la rinascita non è l’annessione alla congregazione Cistercense romana promossa nel 1623 da Papa Gregorio XV ma, nel 1717, l’arrivo dei monaci Cistercensi riformati, detti Trappisti, provenienti dalla badia toscana del Buonsollazzo, i quali ridiedero impulso alla vitalità spirituale, culturale e materiale del monastero.

In età napoleonica e nel corso dell’800, Casamari subì invasioni, saccheggi, incendi e spargimenti di sangue.

Dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, si applica alle case degli ordini religiosi nei territori dello Stato Pontificio la legge sulle Corporazioni religiose e sull’asse ecclesiastico: tutti i loro beni sono ceduti allo Stato. Spogliata dei suoi beni nel 1873 in seguito alle leggi di soppressione, l’abbazia di Casamari, nell’anno successivo, fu dichiarata monumento nazionale. La tutela speciale riservata ai “monumenti nazionali” di Montecassino e Cava dei Tirreni, di San Martino della Scala, di Monreale e della Certosa di Pavia viene estesa alle abbazie di Casamari e Grottaferrata (abbazia di San Nilo).

La comunità monastica di Casamari rifiorisce sia dal punto di vista spirituale sia dal punto di vista economico. Nel 1929 Casamari, insieme ai monasteri da essa fondati, è stata eretta in Congregazione monastica autonoma, aggregata all’Ordine Cistercense.

Trasformata in ospedale da campo dai Tedeschi durante la Secondo Guerra Mondiale, non subisce danni e prosegue la sua attività nel dopoguerra. Negli anni che seguono, all’abbazia Cistercense di Casamari vengono aggregati alcuni monasteri del territorio – come quelli di Domenico di Sora, di Valvisciolo, di Chiaravalle della Colomba, la Certosa di Trisulti –, in Italia e nel resto del mondo, come quelli di Santa Maria di Chiaravalle in Brasile, di Santa Maria di Mendita in Etiopia, di Nostra Signora di Fatima negli Stati Uniti.

Nel giugno del 1957 Papa Pio XII ha elevato la chiesa abbaziale alla dignità di basilica minore.

Il legame tra l’Ordine Costantiniano
e l’Abbazia di Casamari

Nell’abbazia di Casamari vive attualmente una comunità di ventidue monaci cistercensi. I monasteri dipendenti sono certosa di Pavia, abbazia di Valvisciolo, monastero di San Domenico in Sora, monastero di Santa Maria di Cotrino a Latiano (Brindisi) e monastero di Santa Maria della Consolazione a Martano (Lecce). Nella Congregazione ci sono tre monasteri conventuali: abbazia di Nostra Signora dell’Assunta in Asmara (Eritrea) con 2 monasteri dipendenti; monastero di Santa Maria di Piona (Lecco) con un monastero dipendente (Chiaravalle della Colomba – Piacenza); e monastero di Nostra Signora di Claraval in Brasile.

Nel 2012 fu creata nell’ambito della Delegazione della Tuscia e Sabina una Rappresentanza Costantiniana presso l’abbazia di Casamari, a motivo dell’interessamento del profondo conoscitore della Storia e delle Istituzioni dell’Ordine Costantiniano, Prof. Padre Pierdomenico Volpi, S.O.Cist., Cappellano di Merito, Postulatore generale per le cause dei santi dell’Ordine Cistercense-Casamari.

Tenuto altresì conto dei legami storici tra l’abbazia di Casamari ed il monastero della Visitazione, detto della Duchessa, in Viterbo, pure appartenente al Sacro Ordine Cistercense, il Delegato Nob. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, con l’assenso del Presidente della Real Commissione per l’Italia, il compianto Duca Don Diego de Vargas Machuca, ha provveduto in questi anni a far nominare 35 Cavalieri e Dame, molto attivi in campo religioso, caritativo e culturale.

I Martiri di Casamari

La Delegazione della Tuscia e Sabina partecipò sabato 17 aprile 2021 alla Santa Messa di beatificazione dei 6 monaci martiri di Casamari, presieduta dal Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi [QUI].

Nella primavera del 1799 i rivoluzionari francesi, che avevano instaurato in Napoli la Repubblica Partenopea, furono costretti dall’esercito borbonico riorganizzato dal Cardinale Fabrizio Ruffo e dalla presenza della flotta inglese ancorata presso le isole di Ischia e di Procida, a prendere la via del ritorno, risalendo la penisola per la litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.

Un distaccamento dell’esercito, però, calcolato dalle cronache del tempo sulle tredici – quindici mila unità, agli ordini dei Generali Vetrin e Olivier, si diresse verso l’interno. Esso giunse, il 10 maggio 1799, a Cassino quando gli abitanti avevano abbandonato la città e si erano rifugiati sui monti. Anche i monaci dell’Abbazia di Montecassino erano fuggiti a Terelle recando alla sicuro le cose più preziose; i pochi monaci rimasti dovettero assistere con raccapriccio, e non senza pericolo di morte, alla devastazione, al saccheggio ed alla profanazione, perpetrati, tra canti osceni e parodia di sacre liturgie, dai 1500 soldati della colonna del Generale Olivier che erano saliti all’archicenobio.

L’11 maggio 1799, il passaggio dei soldati in ritirata è documentato in Aquino: “Oggi, 11 di maggio, sono passati qui i Francesi inseguiti dalle truppe regie e in questa chiesa non hanno lasciato neanche un candeliere” – e in Roccasecca, dove sei persone “chiusero i loro giorni per l’aggressione francese”.

Dopo essere giunti ad Arce e averla saccheggiata, le truppe, anziché deviare per Ceprano, si diressero per Isola Liri e ne fecero una città martire. Forzato lo sbarramento e rotta la resistenza i Francesi penetrarono nella cittadina seminando violenza lutto e sangue, non risparmiando le molte persone che si erano rifugiate, come ultima speranza, nella chiesa di San Lorenzo. Il Canonico-Vicario Giuseppe Nicolucci ci ha lasciato nei libri dei defunti una agghiacciante testimonianza: “Memorando né mai dimenticabile il giorno che fu di Pentecoste, 12 maggio 1799, che il gallico furore che noi e tutte le nostre case rovinò e travolse nell’ultimo eccidio – Nulla che il nemico ferro non avesse devastato e mietuto – Non gregge non armento sicuro alla campagna, nei presepi e negli ovili – Non uomo che scappasse da morte; non donna, ancorché fanciulla, risparmiata dalla militare licenza brutale. Né altari, né cose sacre le scellerati mani rispettarono – Chi voglia più saperne legga la triste memoria scritta a pagina … (si guardi l’elenco dei morti) di questo libro ed apprenderà perché registri 500 e più nomi di trapassati nel solo e medesimo giorno 12 maggio 1799”.

Dopo l’eccidio nella cittadina di Isola, mentre la truppa riprendeva la ritirata verso il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, – “venti leopardi”, secondo la descrizione di un teste oculare – il 13 maggio irruppe all’interno dell’abbazia di Casamari, alle otto di sera, quando la comunità si accingeva al canto della “compieta”, prima del grande silenzio che ovatta di notte un monastero benedettino. Fu una notte di spavento, di dispersione, di sangue, di morte di martirio.

Mentre gli altri monaci, come uno stormo di miti colombe spaventate, cercavano all’impazzata scampo per ogni dove, sei di essi impavidamente restarono ed eroicamente testimoniarono la loro fede nell’eucarestia, rimanendo uccisi nell’atto di sottrarre le sacre pissiddi o di riparare alla profanazione delle particole consacrate. Essi sono: il Priore P. Simeone Cardon, P. Domenico Zawrel, Fra Maturino Pitri, Fra Albertino Maisonade, Fra Modesto Burgen, Fra Zosimo Brambat. Sulla testimonianza di sangue dei martiri, associati alla passione di Cristo, poggia la solidità della Chiesa; essi non saranno mai dimenticati perché “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavate le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

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