In una cappella del santuario sono custodite le spoglie mortali di Sant’Angelo martire carmelitano, patrono di Licata e compatrono di Palermo, in un’urna argentea realizzata nel 1623 da Lucio de Anizi, maestro argentiere di Ragusa, che ne ricevette l’incarico dai giurati di Licata il 6 dicembre 1621.



Ha presieduto la Celebrazione Liturgica alle ore 11.00 il Rettore del Santuario, Padre Roberto Toni, O. Carm., Cappellano di Merito, della comunità carmelitana di Licata, già Priore Provinciale della Provincia Italiana dei Padri Carmelitani, alla presenza – in rappresentanza del Delegato Prof. Salvatore Bordonali, Cavaliere Gran Croce di Giustizia – del Segretario Generale della Delegazione, Dott. Salvatore Glorioso, Cavaliere de Jure Sanguinis, che ne ha portato i saluti alla Referente per Agrigento, Dott.ssa Maria Luisa Tornambè, Dama di Merito con Placca d’Argento, e ai Cavalieri, alle Dame e ai Postulanti Costantiniani partecipanti, provenienti da diverse località della Sicilia.


Al termine della Santa Messa, prima della Benedizione Conclusiva, il Segretario Generale ha letto la Preghiera del Cavaliere Costantiniano.

A conclusione della Santa Messa, i partecipanti hanno dedicato parte della giornata trascorsa insieme alla cultura, attraverso un percorso esperienziale nella Città di Licata. Nella mattinata hanno visitato il Museo Archeologico della Badia di Licata, grazie all’apertura straordinaria autorizzata dal Direttore dell’Ente Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, Arch. Roberto Sciarratta, coadiuvato dall’Arch. Rosario Callea. Nel pomeriggio hanno visitato il Rifugio Antiaereo e il Tholos di Licata, grazie all’autorizzazione del Sindaco di Licata, Angelo Balsamo, e alla collaborazione dell’Assessore al Turismo, Dott.ssa Maria Sitibondo.
A fare da guida turistica sono stati il Dottore in Beni Culturali Giuseppe Caci, Cavaliere di Ufficio, e l’Arch. Caterina Mannino, docente di Storia dell’Arte e Segretaria dell’Associazione Italiana Turismo Sociale, che ha collaborato descrivendo i siti archeologici percorsi.


Il Museo Archeologico della Badia di Licata
Il Museo Archeologico della Badia di Licata ha sede all’interno del cinquecentesco convento cistercense di Santa Maria del Soccorso, noto come la Badia, ampliato e ristrutturato fra il XVII ed il XVIII secolo. Nel museo, che occupa il piano terra e un grande chiostro quadrangolare porticato, sono esposti reperti provenienti dai siti più significativi del territorio, che testimoniano la presenza di insediamenti stabili a partire dal Neolitico fino all’Età Arcaica e Classica.
Il Neolitico nel territorio di Licata è testimoniato a Contrada Caduta e a Casalicchio attraverso il rinvenimento di una grandissima quantità di ceramiche e industria litica. Le ceramiche sono costituite da vasi a decoro impresso e inciso di tipo arcaico e dello stile di Stentinella caratterizzati da elaborati motivi impressi e incisi meandrospiralitiche e monocrome rosse della facies di Diana. l’Eneolitico (IV- III millennio a.C.) invece è testimoniato dalle ceramiche impresse e incise dello stile di San Cono-Piano Notaro, dipinte negli stili di Serraferlicchio, Sant’Ippolito e monocrome rosse della facies di Malpasso. In questo periodo, attraverso analisi petrografiche chimiche su campioni ceramici ritrovati a contrada Caduta si è accertata la provenienza Maltese di alcune ceramiche e dello stile Zebbug databile tra la fine del V e i primi secoli del IV millennio a.C. Tra i più importanti siti di questo periodo è il Riparo di Contrada Colonne, a pochi metri dalla battigia, da cui provengono ceramiche dipinte dello stile Serraferlicchio.
Rilevante sono le testimonianze del III millennio a.C. quando in Sicilia comincia un lungo periodo di uniformità culturale che interessa l’isola chiamata età del bronzo. La cultura materiale preponderante è quella detta di Castelluccio dipinta con motivi geometrici in nero su fondo rosso. Il territorio risulta abitato densamente come dimostrano le grandi aree di abitati e le estese necropoli di tombe a grotticelle scavate nella roccia che sovente assumono caratteri di eccezionale monumentalità differenziando l’appartenenza al rango in base alla tipologia delle tombe. Di rilievo è la grande necropoli di Monte Petrulla che domina la strettoia del fiume Salso caratterizzato da tombe a camera singola o doppia, alcune delle quali con vestibolo e ingresso riquadrato che richiamano altre pompe dello stesso tipo dalle contrade Sottafari, Calì, Canticagnone, Casalicchio, Landro, Monte Sole, e Monte Giannotta dove ne emerge una monumentale a doppia camera con vestibolo e pilastro rettangolare. Area di importante rilievo è quella della Muculufa situata nella valle del fiume salso a circa 20 km ad est di Licata. Una formazione naturale con un’ampia base che si stringe in una cresta rocciosa aguzza e frastagliata che raggiunge i 355 mt di altezza e dalla quale si può ammirare il solstizio d’estate. Indagini archeologiche condotte con la Brown University di Providence hanno permesso di riportare in luce parte del villaggio, la necropoli di tombe a grotticella artificiale e un’area definita santuario.
Il repertorio ceramico comprende vasi al decoro dipinto nello stile conosciuto databili nella seconda metà del III millennio a.C. L’eccezionale repertorio decorativo, caratterizzante uno stile ceramico è forse manifattura di artista unico definito Maestro della Muculufa.
Il grande santuario rinvenuto alla Muculufa, articolato in un villaggio con la vicina necropoli e una importante area di culto poco distante, rivela un vero e proprio santuario Castellucciano.Tutte le ceramiche rinvenute sono riconducibili a quello che in Sicilia è chiamato lo stile di Sant’Ippolito distintivo della fine del neolitico.
La ceramica Castellucciana verso la fine del XV secolo a.C. lascia il posto ad una ceramica di colore grigio a decorazione incisa detta dello stile di Thapsos dal nome della penisola situata a nord di Siracusa. E nel villaggio di madre Chiesa, che si trova sud-est del centro abitato di Licata a 4 km dall’approdo costiero di Torre di Gaffe, individuato nel 1979, numerosi rinvenimenti di frammenti ceramici identificati grazie alla loro datazione, hanno definito le fasi finali della cultura Castellucciana. Un frammento miceneo databile con precisione alla fine del XV secolo a.C. costituisce l’inizio della cultura di Thapsos. La costa agrigentina, in quel periodo, acquista rilevanza nell’ambito di una rotta di transito per i bacini metalliferi della Sardegna con il fondo di riferimento costante al mondo Egeo e per Licata anche all’isola di Malta. Il periodo di Thapsos verrà soppiantato dall’età arcaica e classicae nel territorio di Licata viene rilevato dai numerosi reperti ritrovati presso il santuario di contrada Mollarella e quello della Contrada di Canalicchio. Nel primo sito intorno al 1977 furono recuperate 18 deposizioni votive di ceramica, tardo corinzio e di produzione locale, mascherine e statuette di offerenti con il porcellino. Il santuario è stato interpretato come un tesmouphorion in uso in età arcaica, periodo in cui si data anche un gruppo di sepolture individuate nell’aria. Nella collina di Canalicchio ad est del corso del fiume Salso nel 1979 grazie a una segnalazione dell’Associazione Archeologica Licatese si è rilevata un’area sacra comprendente alcune strutture riferibili a sacelli a pianta rettangolare bipartita conservati solo in fondazione. Lo scavo del santuario. probabilmente è dedicato ai culti ctoni databile sulla base dei reperti al sesto IV secolo a.C.. ha restituito numerose terre cotte votive di diverse tipologie tra cui le maschere femminili velate, le statuette femminili con peplo e pettorali assise sul trono e in percentuale più alta, le offerenti con porcellino.
Agli inizi del III secolo a.C. si attesta l’insediamento individuato su monte sole, la più elevata delle cime del sistema collinare cosiddetto della montagna di Licata dove rimangono tratti di cinta muraria a doppia cortina e una torre quadrangolare insieme ad impianti per la produzione di olio e di vino scavati nel banco roccioso.
In particolare, sono stati individuati significativi resti di palmeti con vasche rettangolari intonacate che ricevevano le finalità di sfruttamento agricolo di questo insediamento a quanto a quella militare.
Recenti ipotesi spiegano il diradarsi delle presenze umane sulla montagna di Licata e nei territori vicini avvenuto nel corso del III secolo a.C. con la fondazione del centro urbano di Finziade edificato negli imponenti resti su monte Sant’Angelo. Finziade è caratterizzata morfologicamente da un sistema collinare disposto in senso E-O per una lunghezza di circa 8 km: la così detta “Montagna di Licata”, contrassegnata nel suo versante ad est dal monte S. Angelo e a nord da una piana alluvionale delimitata da altri sistemi collinari. L’ottima posizione consente di controllare a sud gli approdi marittimi e risalire attraverso il fiume Salso, l’antico Himera meridionale, l’entroterra siculo.
La località fu identificata sino dai tempi del Muverio, il quale ricorda le varie vestigia ivi riconosciute anche dal Fazello. Fra queste antichità furono trovate quattro iscrizioni che ricordavano “il popolo dei Gelesi” e che fecero sorgere molte discussioni, perché alcuni credettero che dove erano state rinvenute quelle epigrafi sorgesse Gela, mentre altri supposero che i Gelesi trasferiti a Finziade avessero conservato il loro antico nome e altri, infine, sostennero che le due epigrafi, posteriori all’annientamento di Gela, fossero state trasportate a Finziade da quella città che dopo la sua distruzione, nel 282, avrebbe forse seguitato a vivere, sia pur miseramente. A tal proposito un’intera grande sala è dedicata ai rinvenimenti della città ellenistica sul Monte Sant’Angelo, per la consistenza dei resti urbani di Finziade mentre le ultime due sale sono dedicate alla Casa 1 di Finziade, eccezionalmente conservata, della quale si propone un plastico ricostruttivo di grande effetto e il tesoretto ritrovato al suo interno, un gruppo di gioielli in oro provenienti dal crollo del piano superiore dell’abitazione, rinvenuti insieme a oltre quattrocento monete d’argento di fine III sec. a.C. Questo prezioso complesso di ori e monete è un’occasione per ripercorrere la storia della stessa Finziade. Diodoro Siculo, storico del I sec. a.C. nativo di Agyrion (odierna Agira in provincia di Enna), nel XXII libro della sua Historia universalis, narra le vicende della fondazione: «Finzia (tiranno di Agrigento – ndr) fondò una città che chiamò Finziade, trapiantandovi cittadini di Gela costretti a emigrare. Infatti, dopo avere abbattuto le mura e le abitazioni di Gela, trasferì la popolazione a Finziade, avendo fatto costruire una cinta muraria, una piazza di notevole ampiezza ed edifici religiosi». Si tratta dell’ultima fondazione greca di Sicilia, risalente al 282 a.C., non molto prima della conquista romana dell’Isola, definitivamente sancita dalla presa di Siracusa nel 211 a.C.



Il Rifugio Antiaereo e il Tholos di Licata
Il Rifugio Antiaereo si inserisce in una serie di opere sotterranee presenti a Licata rilevanti diversi cunicoli che si sviluppano sotto il centro storico della Città. In origine era il sotterraneo del Castel Nuovo e successivamente fu riutilizzato nella Seconda Guerra Mondiale come rifugio dalla popolazione durante i bombardamenti.
Il Castel Nuovo, non più esistente, fu sede della Comarca, istituzione militare spagnola del XVII sec. che riuniva le unità armate dei Paesi vicini, ed era una delle tre fortezze della città insieme a Castel San Giacomo, Torre Gioetta e Bastione Mangiacasale. Entrambi le fortezze erano collegate dalla cinta muraria a protezione della Città. Del castello rimangono le mura di cinta, alcuni alloggi e la chiesetta della Madonna Ausiliatrice o del Quartiere, così chiamata perché era venerata dai soldati spagnoli, riuniti in un “quartiere” militare.
Al Rifugio Antiaereo si può accedere dal borgo della Marina o da via Marconi e nel passato era collegato con la Grangèla. È scavato nella roccia e durante la guerra è stato rivestito con mattoni per dare maggiore resistenza contro gli attacchi nemici soprattutto quando il 10 luglio 1943, durante lo sbarco alleato, Licata subì intensi bombardamenti aerei sulla città. La popolazione utilizzava dunque queste gallerie per trovare riparo.
Come già detto, i rifugi erano originariamente collegati al pozzo della Grangela, un pozzo di tipo filtrante che serviva per l’approvvigionamento idrico di questa parte dell’antica Licata, risalente probabilmente al preellenico. Successivamente il collegamento fu interrotto dopo la costruzione di via Marconi che alla fine del XIX secolo divise in due la galleria. Non è da escludere che dai camminamenti oggi identificati come rifugi antiaerei si sviluppavano altri cunicoli costruiti per areare il Tholos di via Marconi. Quest’ultimo è un grande silos (dalle insolite dimensioni) utilizzato verosimilmente per la conservazione del grano. Alcune ipotesi sembrano escluderlo a causa dell’umidità contenuta al suo interno. Ma se lo stesso fosse stato egregiamente areato dalle correnti d’aria create attraverso cunicoli antropizzate sicuramente si potrebbe avvalere il concetto di essere un caricatore di grano di cui Licata ne vanta da millenni il primato e il commercio con altre località del bacino mediterraneo occidentale e orientale.
La scoperta del sito si attesta alla fine del 1800 durante la costruzione di via Marconi (da dove è possibile accedere), anche se ne ha comportato la parziale distruzione e probabilmente per questo motivo, come per quello della datazione incerta della sua costruzione, non è ancora stato possibile avere informazioni dettagliate.