Santa Messa e solidarietà Costantiniana presso la storica chiesa borbonica di San Pasquale Baylón a Taranto

Venerdì 21 marzo 2025 la Sezione di Terra d’Otranto della Delegazione delle Puglie e Basilicata del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio si è ritrovata a Taranto per un incontro di raccoglimento spirituale quaresimale e di concreta solidarietà presso la chiesa di San Pasquale Baylón, un emblema del profondo legame storico e devozionale che unisce il culto del santo alla dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, nonché luogo prescelto per le attività religiose dell’Ordine Costantiniano nella Terra d’Otranto. A testimonianza della relazione privilegiata con la casa reale, nel convento è custodita la Pinacoteca Sant’Egidio, che ospita una collezione di antichi gioielli donati dalla Regina Maria Amalia di Sassonia, moglie di Re Carlo III di Borbone, prima regina consorte dei Regni di Napoli e di Sicilia, e poi in seguito del Regno di Spagna, come ex voto per un miracolo ricevuto per intercessione di San Pasquale Baylón, al quale era particolarmente devota.
Foto di gruppo

La storia del complesso religioso tarantino risale al 1747, quando Fra’ Serafino Carrozzini della Concezione da Soleto avviò la costruzione della chiesa e del convento annesso, grazie al sostegno del Re Carlo III di Borbone e della Regina Maria Amalia di Sassonia. La coppia reale non solo autorizzò ufficialmente la fondazione dell’opera, ma la sostenne anche con un contributo di centottanta ducati, affiancato dal consenso pontificio di Papa Benedetto XIV. La consacrazione del complesso avvenne nel 1794, suggellando un legame che sarebbe durato nel tempo.

Un simile gesto di gratitudine e fede si ritrova anche a Napoli, dove nel 1749 fu edificata, per volontà degli stessi sovrani, l’omonima chiesa di San Pasquale nel quartiere Chiaia. L’edificio venne realizzato in ringraziamento per la nascita del loro primogenito, Filippo, avvenuta due anni prima. Un atto che sottolinea come la devozione verso San Pasquale Baylón fosse profondamente radicata nella spiritualità borbonica, al punto da imprimere un segno tangibile sia nella capitale del Regno di Napoli, che in una città strategica come Taranto.

Proprio per questo stretto patrocinio reale, al convento tarantino fu conferito il titolo di Reale Convento, un privilegio riservato a quegli edifici religiosi che godevano della protezione diretta della corona.

La devozione dei Borbone verso San Pasquale Baylón non fu solo una questione personale o dinastica, ma anche un mezzo per rafforzare il legame tra la monarchia e la spiritualità popolare, diffondendo il culto di un santo considerato esempio di umiltà, carità e fedeltà evangelica.

Le chiese di San Pasquale Baylón di Taranto e di Napoli, oggi come allora, continuano a rappresentare due importanti testimoni di fede e storia. Luoghi in cui la pietà popolare, la memoria dinastica e l’impegno spirituale trovano una sintesi ancora viva e attuale.

L’incontro di 21 marzo 2025, Venerdì della II settimana di Quaresima, promosso dal Referente per la Terra d’Otranto, il Cap. Vasc. Giuseppe Giacovazzo, Cavaliere di Merito con Placca d’Argento, che ha visto la celebrazione della Santa Messa presieduta alle ore 18.30 dal Parroco Fra’ Vincenzo Chirico, OFM, è stata anche l’occasione per una colletta caritatevole, i cui proventi sono stati devoluti per i bisognosi della comunità parrocchiale.

Riportiamo di seguito un estratto dell’omelia di Fra’ Chirico:

«Due storie molto simili ci vengono raccontate nelle Letture di oggi. La Prima Lettura, tratta dal libro della Genesi (Gen 37,3-4.12-13.17-28 – Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo!), ci narra la vicenda di Giuseppe, il sognatore. Giuseppe non aveva sogni di potere o di ricchezza: i suoi sogni erano più profondi. Erano sogni che parlavano di una discendenza, di una storia che nasceva dal dolore e diventava canto, speranza, costruzione.

Giuseppe ha attraversato tante prove, ma ha continuato a sognare. E questi sogni non erano suoi: erano ispirati da Dio. E allora, la prima domanda che ci viene da porre, proprio alla luce di questa storia, è: quanto siamo capaci di sognare? E i nostri sogni, sono davvero ispirati dalla volontà di Dio, oppure sono solo desideri nostri?

Spesso diciamo: “Mia moglie non mi capisce, mio marito non mi capisce, i miei figli non mi comprendono, la società non mi ascolta…”. Ma forse il problema non è negli altri. Forse siamo noi a non parlare lo stesso linguaggio. Forse abbiamo pretese troppo alte, o la pretesa di essere sempre all’altezza, sempre adeguati. Anche nei rapporti, a volte, vogliamo più essere riconosciuti che capiti.

Nel Vangelo di oggi (Mt 21,33-43.45 – Costui è l’erede. Su, uccidiamolo!), Gesù racconta la parabola dei vignaioli. Un uomo affida loro la sua vigna: dà loro fiducia, affida loro un bene prezioso. Quel campo è come la nostra vita: ci è stata affidata. E noi cosa ne facciamo? Lo coltiviamo o lo distruggiamo? Seconda domanda, allora: quanto ci affidiamo e ci fidiamo di Dio? E delle persone che ci sono accanto?

Nella parabola, i vignaioli vogliono impossessarsi di qualcosa che non è loro. Non capiscono che quel campo non è un possesso, ma una responsabilità. Così spesso facciamo anche noi: pretendiamo, reclamiamo, ci sentiamo scartati. E allora ci rifugiamo nel vittimismo, dicendo: “Nessuno mi considera”, “prima o poi si accorgeranno di me”. Ma dimentichiamo che forse non ci siamo fidati abbastanza. Non abbiamo costruito, ma siamo rimasti immobili nelle aspettative.

Eppure, dice il Vangelo: “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. È proprio lì che nasce la speranza. Non dal successo, ma dallo scarto trasformato. Se ci fidiamo, se ci affidiamo davvero, tutto ciò che faremo sarà per il Regno di Dio, diventando messaggeri di quella luce che è Cristo nostro Signore.

I profeti non sono mai stati ascoltati. Lo sappiamo. Giovanni Battista, ultimo tra i profeti, ha pagato con la vita la sua fedeltà alla verità. Ma tutti i profeti hanno portato la stessa luce: quella che scalda, che rischiara, che guida. Anche se spesso non vengono compresi. Anche se vengono rifiutati.

Pensiamo ai profeti del nostro tempo. Don Tonino Bello: quanto è stato compreso nel suo tempo? Poco. Eppure oggi celebriamo le sue parole, le sue intuizioni profetiche. Padre Pio da Pietrelcina: quanto è stato condannato, incompreso, perfino ostacolato? E oggi è venerato da milioni di fedeli. Eppure, forse non conosciamo davvero il suo messaggio, forse non abbiamo ancora capito cosa sia la misericordia, che lui ci ha insegnato.

Essere scartati, allora, non è una maledizione. È una chiamata. È una forma di amore. Significa lavorare per il Regno di Dio senza aspettarsi nulla in cambio. Solo così potremo davvero amare e rispettare anche chi, come noi, sceglierà di seguire Gesù Cristo».

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